Vinicio Marchioni: «La regia è un’evoluzione del mio percorso»

L'attore, che si divide tra teatro e cinema, racconta la sua esperienza sul set del video di Vasco Rossi, le sue passioni e i suoi progetti

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Noto al grande pubblico per il ruolo de “Il Freddo” in Romanzo Criminale, apprezzatissimo interprete di “20 sigarette”, “Tutta colpa di Freud” e lo abbiamo visto anche in tv nella fiction “Luisa Spagnoli”. Ma questi sono solo alcuni dei ruoli e dei lavori a cui Vinicio Marchioni ha preso parte negli ultimi anni. Ora si sta dedicando molto al teatro e ha girato da poco anche il video dell’ultimo singolo di Vasco Rossi, perché come ci ha raccontato adora «mischiare le arti», non ama fare gli stessi personaggi e soprattutto per lui «l’attore è una lavagna su cui scrivere ogni volta una cosa nuova».

Due spettacoli a teatro a novembre e poi un altro nella prossima stagione (“La più lunga ora” sulla vita di Dino Campana a maggio al Piccolo Eliseo, ndr). Ci racconta questi lavori che presto porterà in scena?

«Dal 3 al 6 novembre saremo al Brancaccino di Roma con il monologo “L’eternità dolcissima di Renato Cane”, e poi speriamo di portarlo in giro per l’Italia. In scena c’è Marco Vergani, un attore e un amico, lo conosco da 10 anni. Lui conosceva questo monologo di Valentina Diana e mi ha chiesto di aiutarlo e di seguirlo, sono stato contentissimo di fare la regia. Un testo che mi ha colpito subito. Viviamo in un epoca in cui il profitto sembra essere alla base di tutto, e contemporaneamente questa stessa società ci allontana dall’idea della morte, non se ne parla mai o sempre di meno. Valentina Diana si è domandata come è possibile fare del commercio anche sulla cosa più lontana da noi, che nessuno vuole affrontare. Lo ha sviluppato scrivendo la vita del nostro protagonista Renato Cane, già il nome dà l’idea del grottesco e dell’ironia che c’è nel testo e nello spettacolo. Tutto ciò che succede nelle vita di Renato è grottesco. Scopre di avere una malattia, e che non ha molto da vivere e decide di andare in un’agenzia di pompe funebri per occuparsi delle sue esequie. Questa agenzia diventa un mondo grottesco, dove ti vendono anche l’eternità. Il protagonista è esemplare, ci dà la possibilità di riflettere in modo leggero e ironico su temi complessi e profondi».

Le piace occuparsi di regia?

«Sì mi interessa e mi incuriosisce molto, sono contento di questa esperienza. Il protagonista è l’attore che sta in scena, nell’atto teatrale la cosa più importante è colui che sta sul palco e poi il pubblico che lo guarda. Il mio punto di vista è che il lavoro di regia è anche quello di mettersi nei panni di chi guarderà lo spettacolo, è un occhio esterno che cerca di guidare al meglio e di portare al massimo quelle che sono le potenzialità sia della scrittura che dell’attore che interpreta. La regia è una cosa che sta venendo fuori nell’ultimo anno, prima con il corto “La ri-partenza” (presentato con successo a Venezia e a Roma, ndr) e poi con questa opera. La vivo come un’evoluzione naturale del mio percorso, non sono mai stato un attore che guarda se stesso, mi sono sempre sentito parte di un ingranaggio di una macchina, più grande di me. E tutta la macchina cinematografica o teatrale che sia mi ha sempre incuriosito molto. L’ho studiata molto e continuo a studiarla, questo è un mestiere in cui non si finisce mai di imparare».

Il 27 novembre, invece, alla Sala Petrassi dell’Auditorium Parco della Musica sarà in scena con “L’Inseguitore”…

«Ho curato l’adattamento di questo romanzo di Julio Cortázar e la messa in scena. Si tratta di un “Monologo in jazz sulla vita di Charlie Parker”, sul palco ci sarò io come lettore, Francesco Cafiso e il suo quartetto jazz. Loro eseguiranno le musiche dal vivo, Francesco ha riadattato e composto alcune musiche riprendendo brani celebri di Parker. Il libro è sulla vita di Charlie Parker e Cafiso è un suo grande esecutore oltre che un ottimo sassofonista di caratura mondiale. Lo spettacolo è composto da parole e musica, che hanno equivalente importanza in scena. È un’esperienza straordinaria stare sul palco con Francesco e i suoi musicisti. Lo abbiamo presentato a Torino ed è incredibile l’energia che si è creata nel teatro. Questa volta saremo in una cornice straordinaria come l’Auditorium Parco della Musica. Francesco è un trascinatore, la scrittura di Cortázar è meravigliosa, e io ci metto del mio con l’adattamento che ho scritto. Gli  ingredienti ci sono perché sia pieno una messa in scena ricca di energia».

Come è stato lavorare con Vasco Rossi e realizzare il video “Un mondo migliore” trasmesso in anteprima su Rai Uno?

«È stata un’esperienza entusiasmante, Vasco è un mito, per me che sono un suo fan reale è stato come realizzare il sogno di un bimbo. La lavorazione è stata tecnicissima, Vasco è un uomo straordinario, con uno sguardo ancora di un bambino di due anni, curiosissimo della vita, che si diverte quando lavora. È un professionista straordinario, non a caso ha alle spalle 40 anni di carriera, qualsiasi artista che riesce a stare ai massimi livelli mondiali per così tanti anni vuol dire che ha un professionismo incredibile, un talento enorme e grande umanità».

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Ha fatto ruoli molto diversi in tv e al cinema. Le piace cambiare? E come si prepara ogni volta per un personaggio nuovo?

«Mi annoio subito, soprattutto mi annoio molto di me stesso, e questo si riflette sulle scelte che faccio. L’idea di poter portare in scena o di interpretare personaggi che siano molto diversi tra loro dipende semplicemente dal fatto che sono una persona curiosissima e che penso che una delle cose straordinarie di questo mestiere sia entrare in tanti mondi. In una vita normale uno non potrebbe vivere tante esperienze differenti. Ogni ruolo si porta dietro umanità, educazione e un certo tipo di trascorso, e ogni volta mi piace scoprire parti di me che non conoscevo, dico di sì quando sono convinto, leggendo la sceneggiatura, che quel personaggio può insegnarmi qualche cosa. È sempre l’arte che insegna alla vita, è questa la motivazione di fondo. Non seguo un modo particolare per preparami a un ruolo, la preparazione è molto intima ed è imbarazzante parlarne, ogni film o ruolo ha le sue particolarità, e ogni regista è un modo espressivo a cui far riferimento».

È affezionato almeno un po’ al personaggio del “Freddo” di Romanzo Criminale?

«Non mi è rimasto dentro, perchè non mi rimane dentro nessun ruolo, sono un attore che non conserva nulla, nemmeno le sceneggiature. Per me un attore è una specie di lavagna, su cui scrivere ogni volta una cosa nuova. Quel lavoro lì ci pensano gli altri a ricordarmelo, è il ruolo che mi ha dato una popolarità incredibile, e molti mi riconoscono ancora per quel personaggio, e di questo posso solo che essere grato. Nella popolarità non c’è niente di male, e quel ruolo mi ha dato la possibilità di fare tutto quello che ho fatto poi nel mio lavoro. Me la vivo tranquillamente, la serie tv ha avuto dei numeri impressionanti, sono stato fortunato a poter fare anche tante altre cose dopo “Romanzo Criminale”».

Lei ha un ristorante qui a Roma. Che rapporto ha con la cucina e il cibo?

«Mi piace la convivialità, il rapporto con il pubblico, l’idea di far stare bene le persone. Sono cresciuto in una famiglia di contadini, dove mia nonna cucinava per tutti, e poi lo ha fatto mia madre. Cucinare per gli altri è un atto d’amore. Il ristorante lo gestisco con mio fratello e con un altro socio, abbiamo cercato di ricreare un’atmosfera semplice, chi viene deve sentirsi a casa».

Quando potremo rivederla in tv o al cinema?

«Ho molti progetti in cantiere per il prossimo anno, ma per ora preferisco non parlarne. Comunque progetti soprattutto per il cinema, e poi sto ultimando le riprese di un film a puntate per la tv tedesca, ma non so se uscirà mai in Italia. Per me questa è stata un’importante esperienza per lavorare a livello internazionale e mettere piede fuori dall’Italia, cosa che non fa mai male. E poi molto formativa, perché ho avuto modo di confrontarmi con un’altra lingua, con altri attori e modi di lavorare diversi. La storia è ispirata a un fatto realmente accaduto: una rapina successa nell’88 in Germania e io interpreto un padre italiano emigrato che durante la rapina perde il figlio, che resta ucciso. Poi sto lavorando con Milena Mancini (la moglie, ndr) a un altro progetto teatrale, siamo impegnati nell’ideazione, nella regia e saremo anche in scena. Nei periodi in cui non sto sul set mi piace lavorare, scrivere e studiare, fare cose che mi entusiasmano, che mi piacciono e ci piacciono. Anche mischiare le diverse arti. Con Milena non c’è solo un progetto di vita insieme, ma anche artistico e professionale. Il nostro è un connubio che dà ottimi frutti».