Ha cominciato a fare inchieste giornalistiche partendo dalla sua terra, interessandosi per prima al caso dell’Ilva di Taranto, poi Valentina Petrini – con un passato anche nella carta stampata e in radio – ha iniziato a occuparsi anche di ‘ndrangheta nel porto di Gioia Tauro (per “Malpelo” su La7), ha lavorato a cinque edizioni di Exit ed è stata inviata di Piazza Pulita. Di recente ha condotto anche Nemo – Nessuno escluso su Rai Due con Enrico Lucci, e ora si troverà al fianco di un’altra ex iena Pablo Trincia nella puntata evento di I cacciatori, che andrà in onda martedì 3 gennaio sul canale Nove di Discovery Italia alle ore 21.15 (produzione Magnolia). Due episodi di un’ora ciascuno, due inchieste, due storie realmente accadute ma che sono rimaste senza una soluzione.
Ci racconta un po’ la storia di Giuseppe Gulotta che vedremo in tv e di cui lei si è occupata? Quanto lavoro ci è voluto per fare questa inchiesta?
«È stato un lavoro lungo, è durato tanti mesi. Ovviamente non l’ho fatto da sola. Per questa storia abbiamo cominciato a vedere prima di tutto le carte processuali, e parliamo di 36 anni di vicenda giudiziaria. Abbiamo studiato tutto per bene, verificato l’iter e le mancanze che lo stesso Gulotta ci aveva raccontato a partire dai primi processi, dalle testimonianze e dalle prove. Ci è voluta tanta preparazione, dovevamo anche capire se volevamo aiutarlo. La sua innocenza era scritta in quelle carte, sono accadute tante cose strane. Nel ’76 le prove hanno portato al suo arresto e a quello di alcuni amici d’infanzia, il tutto si basava sulla testimonianza di un uomo solo, che alla fine fece i nomi di tutti i suoi amici, salvo poi ritrattare dopo la convalida di arresto. È quindi un’accusa nata fra molti dubbi. Il caso di Gulotta è eclatante, si è fatto 22 anni di carcere da innocente, ed è un uomo determinato, lo è sempre stato, non è mai scappato e ha lottato per dimostrare la sua innocenza. Il suo è un caso risolto, ma gli sono rimaste in mente sempre delle domande sui veri colpevoli che hanno ucciso i due carabinieri e sul movente. Le domande scrivono storie nuove, un racconto inedito anche per chi conosce il suo caso. Pablo invece racconta la storia di una donna africana, che non ha notizie della sua famiglia di origine, essendo stata adottata in Italia da piccola».
Com’è il rapporto con Pablo Trincia e il resto della squadra?
«Noi siamo una squadra piccola ma affiatata, ringrazio per tutto questo lavoro Chiara D’Ambra e Francesca Loquenzi. Io e Pablo siamo i due cacciatori, la regola è quella di insinuare il dubbio nell’altro mentre si lavora alla storia, per tirare fuori sempre tutto. Spesso si dedica poco tempi ai casi, io e lui invece rispolveriamo le vecchie regole classiche del giornalismo d’inchiesta, facciamo approfondimento e studiamo bene le carte. Noi siamo tutti e due figli di questo tempo, come tutte le persone della nostra generazione, ci troviamo benissimo a lavorare insieme, siamo una squadra vecchio stampo, ci confrontiamo sempre, ci emozioniamo ogni volta, bisogna fare così il nostro lavoro, e mi piace il lavoro di squadra, vincere insieme. Con Pablo c’è intesa intellettuale, è colto intelligente, buttiamo giù sempre tante idee e format, condividiamo obiettivi. Questa di gennaio è una puntata evento che presenta il format, saranno due episodi con sapori diversi, ma la nostra intenzione è quella di fare presto una serie più lunga, affrontando un po’ tutti i sapori e i colori delle storie. La produzione di “I cacciatori” è della Magnolia, ma nasce da un’idea di Pablo Trincia dopo aver visto il film “Philomena”. Ha pensato di adattare il meccanismo a storie quotidiane, a gente che ha bisogno di aiuto vero, che va in cerca della verità e da sola non riesce a trovarla. È un programma che vogliamo far crescere e riprendere presto, c’è bisogno di nuovi format e di fare televisione in un certo modo. Ma un’inchiesta ha bisogno anche di tempo, è come una pianta. Oggi getti il seme, ma devi avere la pazienza di farla crescere».
Cosa si prova a vincere un premio importante come quello internazionale di giornalismo Dig Awards 2016 con il reportage in cui si è finta curda, camminando con i profughi in fuga dalla guerra?
«Questa è stata un’esperienza forte, erano mesi che con fonti e contatti seguivo la storia dei Balcani, tra Grecia e Macedonia, e così sono andata lì. Non me la sono sentita di mettere un distacco, un microfono tra me e loro. Era necessario vivere sulla mia pelle almeno una parte di quello che loro stavano provando. Una famiglia curdo-siriana mi ha adottato, ho camminato con loro fino in Austria. Ora questa famiglia è in Germania, è una storia a lieto fine ma non tutte lo sono. Volevo trasmettere a chi lo avrebbe guardato emozioni, fatica e determinazione, che ho toccato con mano. Vincere quel premio è stata per me una gioia immensa, non posso negarlo, ho pianto, questo non è un lavoro facile, è bello ma non ci sono garanzie. Sono figlia di questo tempo, sono freelance, non ci vengono riconosciute tutte le tutele e le garanzie di un contratto fisso, ma ricevere un premio internazionale è una grande vittoria. Il nostro è un mestiere bellissimo ma la tecnologia spersonalizza il lavoro, è opportuno andare sul campo, sporcarsi le scarpe e raccontare emozioni. Gli editori dovrebbero sostenere i giovani ad andare sui posti, a guardare da vicino prima di raccontare».
Lei ha lavorato anche a La7 e a Rai Due. Che esperienze sono state?
«Formative. A La7 ho mosso i miei primi passi in tv dopo la carta stampata. Sono stata scelta da Sortino per “Malpelo”, siamo stati mesi chiusi a studiare i casi di una serie di inchieste. Non è sempre tutto rosa, ma c’è stata una crescita professionale fino ad arrivare a “Piazza Pulita” con Corrado (Formigli, ndr), qui ho realizzato l’inchiesta credo più importante che riguarda lo sfruttamento dei bambini profughi siriani in alcune fabbriche. Bambini piccoli con le mani e il viso blu, che lavoravano cucendo jeans e scarpe. “Piazza Pulita” è come una famiglia, ma l’occasione di crescita che mi è arrivata con la proposta di “Nemo” su Rai Due è stata molto importante. La conduzione sempre con una iena, Enrico Lucci, brillante e sarcastico. Riprenderemo il programma a febbraio. Qui c’è una responsabilità diversa ed emozioni differenti. Già la vita è difficile per cui vogliamo fare informazione ma strappando anche sorrisi, c’è un registro serio con i reportage e uno sarcastico, ironico e leggero con Lucci. “Nemo” nasce con l’ambizione di essere informazione ma con un format nuovo. È fondamentale sperimentare, fare programmi nuovi, anche su canali giovani che guardano al futuro, e che hanno la forza di sperimentare».