Rifiuti, nuovo terremoto nel Lazio

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Un nuovo terremoto nel settore dei rifiuti si è abbattuto sul Lazio. A partire dalla mattinata di mercoledì, infatti, diverse perquisizioni sono state effettuate in alcuni dei centri nevralgici del settore dello smaltimento dei rifiuti tra Roma, Frosinone e Latina. Il bilancio, al momento, è di trentuno indagati e di una decina di impianti di trattamento dei rifiuti sequestrati, insieme a una discarica per rifiuti non pericolosi, su richiesta della Direzione Distrettuale Antimafia della procura romana. I vari blitz sono stati condotti dal gruppo carabinieri forestale di Frosinone, coadiuvati dai colleghi di Latina e Roma e in collaborazione con il comando provinciale carabinieri di Frosinone, il Noe di Roma e la sezione di polizia giudiziaria della procura di Cassino. Tra gli impianti finiti nel mirino degli inquirenti anche quelli di Cerroni a Roma, Malagrotta 1 e Malagrotta 2, dove sono presenti strutture per il trattamento meccanico biologico e che insieme smaltiscono oltre mille tonnellate di indefferenziata al giorno. Stando a quanto riferito dal legale della Giovi, società che fa capo a Cerroni, gli impianti sarebbero tutti stati commissariati con l’obiettivo di gestire questo difficile momento. Le ipotesi riguardano, a vario titolo, i reati di attività organizzate per il traffico illecito di rifiuti, truffa aggravata, frode in pubbliche forniture e violazione di prescrizioni AIA. L’ipotesi degli inquirenti è che dieci aziende di rifiuti conferissero, nella discarica per non pericolosi situata nel Frusinate, ingenti quantità di rifiuti pericolosi declassificati come non pericolosi. In particolare, per gli inquirenti, i rifiuti classificati con codice Cer (Codice Europeo rifiuti) a “specchio”, per essere ritenuti non pericolosi, avrebbero necessitato di analisi di laboratorio esaustive. Ecco perché sono state perquisiti anche alcuni laboratori di analisi. Arpa Lazio e il ctu (nominato dalla procura di Roma) hanno infatti accertato che tali rifiuti non erano esaustivamente analizzati e, quindi, non potevano essere classificati come non pericolosi. La ‘declassificazione’ – da pericolosi a non pericolosi – avrebbe consentito di smaltire ingenti quantità nella discarica non abilitata alla gestione di rifiuti pericolosi. Stando alle ipotesi investigative, dalla differenza dei costi di smaltimento ne sarebbe derivato un grosso profitto.

Un secondo filone dell’indagine riguarda invece il recupero dei solidi urbani da parte della Saf (la Società Ambiente Frosinone, che gestisce l’impianto tmb a Colfelice), dove viene trattata la spazzatura dei comuni ciociari. La procura, in questo caso, ipotizza uno scarso e inefficace trattamento dei rifiuti urbani, indifferenziati e differenziati. Proprio questo avrebbe determinato, sempre secondo le indagini, una maggiore quantità di rifiuti conferiti in discarica (con più alti costi di smaltimento), cattivi odori derivanti dalla scarsa bio-stabilizzazione e, infine, una superiore produzione di percolato. I consulenti della procura di Roma, inoltre, ritengono che la società ciociara abbia recuperato una parte insignificante dei rifiuti organici provenienti dai comuni della provincia di Frosinone, che hanno invece pagato un corrispettivo affinché venissero recuperati. Per questo viene ipotizzata anche la truffa aggravata e la frode in pubbliche forniture a danno degli stessi Comuni. Le presunte attività illecite avrebbero consentito, alle società coinvolte, un profitto di oltre 26 milioni di euro. Importo anch’esso finito sotto sequestro.

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