Il Lazio al voto tripolare con l’incognita della lista Pirozzi  

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Sergio Pirozzi
Sergio Pirozzi

La nuova legge elettorale del Lazio approvata nella tarda serata di giovedì scorso, ha impegnato intensamente per 3 sedute un Consiglio Regionale non particolarmente prolifico in questi anni in fatto di leggi di leggi.

La discussione, una volta tanto accesa, ha interessato gli addetti ai lavori e le elites politiche delle nostra regione, ma con scarso appeal nei confronti di un elettorato che ormai a oltre il 30% non vota più.

Ancor meno interesse ha suscitato la furibonda tenzone sul cosiddetto listino del Presidente in pectore, ovvero quei 10 consiglieri di sua indicazione che non avrebbero avuto bisogno di sottoporsi al giudizio dell’elettorato lasciando gli altri a sudarsi la campagna elettorale. A questo punto ha prevalso il buon senso, o meglio, l’astuzia politica di Nicola Zingaretti che il listino l’aveva imposto ai suoi consiglieri uscenti nel corso della direzione regionale del Pd di due settimane fa. Salvo far marcia indietro facendo finta di accogliere le forti critiche della opposizione, ma soprattutto per i malumori dei suoi stessi consiglieri di maggioranza.

Eh sì, perché la nuova legge elettorale introduce (tardivamente rispetto alla normativa nazionale e a quella di tutte le altre regioni) la parità di genere nella proposizione delle liste. Che in soldoni vuol dire che a Roma e non solo, parecchi consiglieri rischiano di non venir più rieletti infoltendo la schiera dei disoccupati.
Sin qui tutti d’accordo e via verso la campagna elettorale.

Ma, c’è sempre un ma, gli assetti politici in questi anni sono profondamente cambiati e anche nel Lazio alla competizione ci andranno tre poli, Pd e alleati, grillini da soli e centro destra forse in coalizione.

I problemi non finiscono qui perché per garantire una maggioranza stabile in consiglio al presidente eletto, bisognerà raggiungere quota 37% dei consensi  per ottenere, con il premio di maggioranza, 26 consiglieri su 50. Altrimenti si avrà un governatore senza maggioranza alla Pisana e grossi problemi di governabilità soprattutto quando si andrà ad approvare la manovra economica annuale la cui approvazione spetta all’assemblea.
Già la soglia del 37%, con l’aria che tira, appare un obiettivo piuttosto ambizioso per tutte e 3 le forze politiche in campo, che metteranno insieme, eccetto i 5stelle, varie liste coalizzate.

Comprensibili quindi i gridolini di gioia dei giornali amici del Pd quando Massimo D’Alema sabato ha tessuto l’elogio di Zingaretti, per la sua vocazione unitaria. Una apertura di credito a sinistra del Pd mentre già il vice presidente della regione Massimiliano Smeriglio (già Rifondazione comunista, poi Sel, poi sul palco in febbraio a Testaccio il governatore della Toscana Rossi e quello della Puglia Emiliano che il giorno dopo tornò all’ovile di Renzi) si era già peritato di inventarsi una sua lista arancione tutta per Pisapia, giusto per coprire a sinistra Nicola.
Miracoli di funambolismo politico cui la sinistra sinistra è avvezza almeno dalla fondazione dello Psiup negli anni 60 del secolo scorso.

Tocca Poi vedere quanto Mdp conti elettoralmente sui territori visto che non ha avuto nemmeno il tempo di organizzarsi fra una bega e l’altra, Pisapia no Pisapia si, con il Pd no con il Pd sì. Sino allo schiaffo di questa legge elettorale nazionale che porterà Mdp ad eleggere un pugno di parlamentari e con una fatica della madonna per superare la soglia di sbarramento del 5%. Nè vale il tardivo, quanto strumentale appello all’unità di Renzi da Napoli che ha eccitato il compassato ministro Martina.

Ovviamente a destra va ancora peggio perché qui la Meloni attende l’esito delle elezioni siciliane per vedere se il suo Musumeci la spunta, salvo poi cominciare a dettare le condizioni nel Lazio dove i Fratelli d’Italia sono abbastanza forti.
Insomma il tripolarismo complica la vita a tutti che sono lì sulla soglia del 30% dei consensi, un po’ come a livello nazionale almeno dai sondaggi.
E qui invece al posto di un ma c’è un se.

Mettiamo che quel matto di Sergio Pirozzi, ripudiato pubblicamente da tutti i boiardi locali di forza Italia, Giro, Fazione, Abruzzese ecc. (e forse anche da qualche fratellone della Meloni), si mettesse in testa di correre con una sua lista dello “scarpone”, cosa potrebbe succedere?

Mettiamo ancora che con il 10/15% dei consensi porti alla Pisana almeno 4 consiglieri, bene, sarebbe proprio un bel grattacapo per il nuovo governatore se non supera la soglia del 37% con 26 consiglieri, questa volta davvero molto fidati.
Oddio, la nostra è una simulazione, ma se così fosse e il centro destra non convergesse sul sindaco di Amatrice, probabilmente Zingaretti la spunterebbe sulla grillina Lombardi, ma la Pisana e di conseguenza la Regione diverrebbero preda di maggioranze ballerine, in balia degli interessi di cordate e appetiti dei territori.
Il che non è cosa buona giusta.

Giuliano Longo

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