La candidatura di Zingaretti alla segreteria del Pd potrebbe riportare il Lazio al voto

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Può apparire un paradosso, ma il fatto che il Pd nel Lazio abbia tenuto alle recenti elezioni comunali portando alla vittoria alcuni suoi sindaci ai ballottaggi, potrebbe accelerare la possibilità di un ritorno al voto per la nostra regione. 

Ma andiamo per ordine. Ieri Nicola Zingaretti ha radunato decine di sindaci di area progressista e non solo del suo partito, per «un modello Lazio aperto alla società civile e agli amministratori».

Ha così rilanciato la sua Opa sulla segreteria del Pd affermando: «Dopo le allarmanti difficoltà che abbiamo attraversato e confermate da un grande numero di ballottaggi persi nelle città italiane non bastano semplici aggiustamenti. Tantomeno povere analisi di circostanza. Un ciclo storico si è chiuso». 

A ben vedere non proprio il modello Zinga (ancora tutto da costruire) come titolano alcuni giornali, ma una pretattica, un posizionamento in vista del Congresso che nessuno vuole accelerare nei tempi. Come dire, io sono pronto a rigenerare il Pd, ma l’aveva già detto dopo il voto del 4 marzo.

In quel partito, a parole, tutti sono d’accordo che serva al più presto questo salvifico congresso, ma l’impressione è che nessuno lo voglia fare subito per non farsi male. 

A farsi male fra di loro sarebbero gli attuali dirigenti, certamente non quello che resta del Pd, che dal referendum costituzionale in poi di male se n’è già fatto abbastanza.  

Ecco perché i toni di Zingaretti nell’assemblea di ieri sono stati sostanzialmente istituzionali e low profile, comunque tali da non alimentare la rissa interna. 

Alla rissa invece pare si preparino altri, in primis l’umbratile scudiero di Renzi, Matteo Orfini e i pervicaci renziani che Zingaretti proprio non ce lo vogliono. Una opposizione non di poco conto visto che il non segretario Renzi controlla i gruppi parlamentari e alcuni gangli di potere del suo partito.

È anche vero che con lui oggi si schiera parte della nomenklatura del partito, da Franceschini a Orlando e buon ultimo Gentiloni, ma la segreteria del Pd non è roba che si ottiene cotta e magnata e poi per statuto tocca fare le primarie.

Già, le primarie, la via diretta per evitare un congresso serio e chiamare il cosiddetto popolo della sinistra a votare fra due o tre nomi. Insomma quel modello plebiscitario alla Renzi, e non solo, che evita la discussione nei circoli sopravvissuti e le scelte più dolorose e radicali. 

Questo sommariamente il contesto nel quale potrebbe muoversi la candidatura di Zingaretti, ma (perché c’è sempre un ma) Nicola, nel frattempo, deve governare la Regione e qui cominciano i mal di pancia perché per tenere in piedi questa giunta senza la maggioranza alla Pisana, significa fare compromessi e accordi con le opposizioni.

È anche vero che inaugurando la prima seduta del Consiglio Regionale lo stesso Presidente aveva insistito sul ruolo dell’assemblea che comunque decide sì e no il 10/20% dell’attività della Regione, perché il resto viene dalla Cristoforo Colombo.

Semmai il mercato degli accomodamenti e dei compromessi si decide nelle commissioni consiliari dove tutti sono presenti e tutti vogliono qualcosa. Poi ci sono leggi importanti quali i bilanci e gli assestamenti che passano dalla Pisana e lì si scatenano tutti gli appetiti possibili. Quantomeno per accontentare il proprio elettorato (quando va bene) se non le proprie clientele al peggio. Per non parlare della Sanità con relative nomine e cordate che rappresenta l’80% del bilancio regionale ed entro l’anno uscirà dal commissariamento.

Non è un caso che da parte grillina fiocchino quotidianamente mozioni, proposte e iniziative efficaci soltanto in termini di comunicazione, ma che celano a malapena quell’accordo di fatto fra 5stelle e il presidente per reggere la legislatura il più a lungo possibile.

Mentre le altre forze politiche di centro destra hanno da decenni una inveterata abitudine al compromesso e alla trasversalità, con Forza Italia e i Fratelli della Meloni che rischiano di venir fagocitati dalla Lega, la Lega che si muove con personaggi della vecchia destra e Pirozzi che non strilla più pago della sua commissione alla protezione civile.

Senza contare che tutti i consiglieri, di qualunque colore politico, sono solidali nella difesa  degli 8.000 euro e passa di emolumento mensile.

Rebus sic stantibus si ripropone il dubbio che ci riporta al paradosso di cui parlavamo all’inizio. 

Quanto gioverebbe a Zingaretti tenere in piedi una situazione di questo genere mentre ambisce alla segreteria del suo Partito? Tanto meno sarebbe possibile se poi raggiungesse l’obiettivo.

C’è poi un altro elemento da considerare. Zingaretti non può ricandidarsi per il terzo mandato e tanto meno intende lasciarsi logorare da questa situazione per altri 4 anni indipendentemente da come vada a finire con il congresso del suo partito. Con il rischio che questa situazione vischiosa ed in perenne equilibrio compromissorio finisca per appannare la sua figura di leader nazionale.

Quindi non è da escludere che prima o poi si presenti anche l’occasione per sciogliere l’assemblea e andare al voto, un casus belli provocato o magari un semplice incidente di percorso. 

Così alla fine della fiera il boccino rimane nelle mani del Governatore che presumibilmente non vorrebbe scottarsi le dita se il boccino dovesse diventare incandescente. 

Giuliano Longo

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