Virginia Raggi e la banalità del fare (male)

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C’è ormai chi è convinto che la partita romana segnerà la fine, o l’inizio del declino, del Movimento 5stelle, levando un peso a Matteo Renzi che non avrà nemmeno bisogno di mettere mano alla sua legge elettorale (l’Italicum) da più parti contestata.

Eppure la nostra impressione è che i pentastellati reggeranno nel consenso, almeno fino a quando alcuni di loro non verranno colti con le mani nel sacco nel ladrocinio di pubbliche risorse. Perché quel romano su tre o quattro, che ha giudicato, o meglio, rifiutato la classe dirigente che li ha preceduti, non cambierà idea facilmente.

Un ceto dirigente (nemmeno tanto vecchio) senza alibi che è incappato non solo in “mafia capitale“, ma in uno stillicidio di avvisi di garanzia e arresti che l’ hanno decimato.  Le convulsioni e la raffica di dimissioni di questi giorni dimostrano l’incapacità, se non l’inettitudine,  nel cogliere la ‘complessità’ di governo di una metropoli. Anche sulla vantata ‘trasparenza’  pentastellata ci sarebbe molto da dire se è vero che la gestione del potere è affidata ad una sorta di “inner circle”  della Raggi formato da personaggi di mezza tacca e scarsa esperienza. Nè basta l’abusata foglia di fico dell’onnipresente Cantone a darle una patente di indiscussa legalità. Se poi si confonde democrazia (di base?) con il livore di centinaia di smanettoni web e pauperisti che ad ogni emolumento superiore al loro vedono solo una violazione dei sacri principi grillini e non una ricompensa alla professionalità, siamo veramente alla frutta.

La Raggi, che di questo humus pauperista/provinciale è il prodotto, ha sempre scelto il minimalismo del ‘fare’ la cose più semplici del quotidiano (spazzatura e trasporti) per alleviare le difficoltà dei cittadini. Così, in nome di questo minimalismo da bottega, ha  accantonato (o sta facendo finta di accantonare) progetti di grande respiro quali le Olimpiadi e lo Stadio della Roma. Non solo sfidando larga parte di una opinione pubblica che spesso nemmeno va a votare, ma soffocando il sogno di una città proiettata verso la modernità e lo sviluppo. Su progetti certo discutibili ed emendabili che in ogni caso hanno prodotto (anche costosi) studi ed elaborati di livello internazionale. A questa miopia paesana vengono sacrificati fior di professionisti e tecnici che non intendono mantenere lo statu quo dei carrozzoni di Ama e Atac in omaggio a quella sicurezza che la Raggi ha voluto promettere (per puri fini elettorali) ai 60mila dipendenti che gravitano attorno al Comune.

Si verifica così un corto circuito politico/amministrativo che svuota anche le cose buone fatte sino ad oggi (come l’apparente e modesta pulizia della città)  snervandole  nella grillesca  guerra per bande tipica della vecchia (e da loro esecrata) politica politicante. Intanto alcuni ‘cervelli’ se la danno a gambe per non sottostare alla presuntuosa incompetenza del suo cerchio magico e all’arroganza di una presunta base di popolo.  Causa  di questo affannoso malgoverno a sentire autorevoli esponenti dei 5stelle, è l’opera sotterrane ‘dei poteri forti’ accusati  di ogni magagna e nefandezza. Un mantra grillino che esclusa la Massoneria, il Vaticano, il Califfato, la Cia i Servizi russi ecc, non può che riferirsi alla classe imprenditoriale tout court che a Roma non è fatta solo dei Caltagirone, ma da una miriade di energie reali e potenziali. Risultato di questa vera e propria paranoia la paralisi.

“Paralisi” degli investimenti e quindi dell’occupazione, “paralisi” della burocrazia comunale che dopo le vicende di corruzione (se non peggio) stenta a firmare il sia pur minimo atto che richieda assunzione di responsabilità. “Paralisi” dei cervelli e della progettualità, “paralisi” della cultura schiacciata da un demagogico ignorante  di chi presume di fare una rivoluzione senza averne mezzi e obiettivi. Insomma, lo tsunami 5stelle va riducendosi alla increspatura di morte acque fra pettegolezzi, tweet, post su Fb e clientelismo da bottega che non premia i migliori, ma i militanti fedeli. La sorte della Raggi, non si illudano i sui critici, non è legata alle faide intestine del suo Movimento, ma all’elementare mancanza di soldi che la sua amministrazione non riuscirà a compensare con pochi tagli alla macchina amministrativa. I nodi verranno al pettine l’anno prossimo con la previsione di bilancio.

Sperare di fare i furbi ricavando risorse  dalla improbabile rinegoziazione dei 12 miliardi del debito storico (che sarebbe comunque un altro bel regalo dello Stato italiano a Roma) appare illusorio. Quindi è sul soldo, sul risanamento, le ristrutturazioni e le dimissioni che si gioca la partita. Senza motivati aiuti dello Stato, senza grandi investimenti pubblici e privati, senza un disegno della città futura, senza una classe dirigente e tecnici di spessore, non si va da nessuna parte, ma si accentua quel vischioso declino di Roma che dura da 10 anni.  Roma camperà lo stesso e forse ai romani basterà qualche autobus e qualche strada pulita in più, ma perirà l’ambizione di una ‘Città Metropolitana, vera Capitale fra le capitali del mondo.

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