Le dimissioni della Muraro non scalfiranno il consenso della Raggi

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Ma davvero qualcuno pensa che le dimissioni dell’assessore all’ambiente Paola Muraro cambino qualcosa per la sorte dell’amministrazione di Virginia? Se fosse stato solo per questo il Si al referendum avrebbe prevalso a Roma come protesta nei suoi confronti. Ma così non è stato eccetto il primo e il secondo municipio dove in gran parte risiedono i benestanti. A ben vedere la storia della Muraro era nota da mesi e semmai, anziché rivendicare la trasparenza giacobina della sua amministrazione, la sindaca avrebbe dovuto rimuoverla prima indipendentemente dalle competenze che in materia di rifiuti la Muraro poteva sicuramente vantare, se non altro per i suoi 12 anni di qualificate consulenze Ama. L’opposizione è convinta che il valzer di assessori, di amministratori delegati e direttori generali di Ama e Atac, costringerà prima o poi Grillo a farle il ‘tagliando’ come aveva annunciato.

Ma la situazione politica che si va determinando nel Paese e le eventuali elezioni anticipate paiono scongiurare tale ipotesi. Perché, comunque la si voglia vedere, lei gode dei frutti politici dell’esito referendario amplificato nei suoi effetti dalla costituzione del governo ombra di Matteo Renzi che vorrebbe anche lui (con Salvini, Grillo e Meloni) elezioni a tambur battente. Suggestiva cavalcata auspicata anche dal Kommissario romano e presidente dell’assemblea del Pd Matteo Orfini, in ascesa nelle quotazioni del suo partito e dichiaratamente pronto ad asfaltare i suoi avversari interni in vista del congresso romano del partito. Ma torniamo a Virginia. Intanto non è vero che la ragazza sia confusa e in qualche modo indebolita perché lei una chiara linea di governo ce l’ha. In primis battere cassa al Governo sulla base di un improbabile patto per Roma che dovrebbe far scucire ai contribuenti italiani almeno un miliardo.

Il secondo punto di forza è l’immobilismo, anzi il mantenimento dello statu quo persino per Ama e Atac che sono ormai società ultradecotte. La ragazza ha capito che il consenso dei 63.000 fra municipales e municipalizzati, che sono lo zoccolo duro per garantirle il consenso. In verità l’avevano capito destra e sinistra ben prima di lei. Così la ragazza decide che è giunto il momento delle assunzioni, poche in verità, ma quanto basta ad esaltare la sua vocazione de amì du peuple. E poi, siccome con il Vaticano non si scherza (ne sa qualcosa Marino) e tanto meno con la Caritas e la comunità di sant’Egidio che contribuirono alla caduta di Alemanno, si china misericordiosa sulla triste sorte dei migranti incurante degli strilli della destra e di una pubblica opinione dal razzismo montante. Tornando al popolo.

Cosa ti fa allora Virginia? Annuncia l’assunzione di ben 195 comunales ricavando il necessario quattrino dalle dimissioni e dagli stipendi dei dirigenti. Insomma, uno dei comuni più disastrati d’Italia riprende ad assumere quando  Grillo, poco prima delle lezioni aveva minacciato lacrime, sangue e tagli da buon genovese sparagnino. Sorge allora un interrogativo: in che cosa si distingue la Raggi dalla amministrazione di Alemanno prima, e di Marino poi? A nostro avviso ben poco, eccetto i tentativi di Ignazio di mettere mano ad alcuni grandi progetti naufragati nelle secche di mafia capitale. Lei, come nel caso delle Olimpiadi, i grandi progetti li blocca per paura della corruzione che evidentemente persino i grillini de’ noantri non sono in grado di  contrastare. Sullo stadio invece abbozza, mettendo in difficoltà il suo assessore urbanistico Berdini il giacobino, che le torri di Parnasi proprio non le vuole. Ma dal brain trust della Casaleggio &associati devono averle fatto capire che i tifosi rappresentano tanti, ma tanti voti.

Insomma Virginia mangia la foglia delle elezioni anticipate, quindi il suo 62% dei voti se lo deve conservare per le future glorie governative del Movimento. Altro che tagliando! Rimane il dubbio se questa politica del piccolo cabotaggio, del respiro corto e della micragna sia degna di una Capitale europea. Sicuramente no, ma a quella maggioranza di cittadini scoglionati dalla politica tradizionale e dai suoi riti, poco importa. Un no è un no, punto e basta. E l’opposizione? Beh, il Pd si lecca le ferite e si divide mentre a Roma il partito si disintegra anche nelle sue tradizionali clientele. La Meloni è tanto brava a parlare, ma i suo Fratelli a livello nazionale contano ben poco. Per cui invocare le comunali anticipate è solo propaganda. Semmai i conti in senso stretto si faranno l’anno prossimo sul bilancio. Ma anche qui il passato insegna. Perché il debito di Roma può sempre venir commissariato senza che  la capitale d’Italia fallisca (oibòh, non sia mai detto). Insomma la raggiante Virginia e il suo Movimento ‘irraggeranno’ sino a quando interpreteranno il sordo brontolio, il minaccioso rumoreggiare di pancia (copyright di Grillo) che si leva non solo dalle periferie degradate, ma dai ceti medi impoveriti, dai giovani senza lavoro, dai pensionati allo stremo ecc. ecc. Un situazione che la narrazione renziana non ha scalfito e forse solo esasperato. Quindi riprendendo il filo del nostro esordio, non si illudano gli avversari della Raggi perché non saranno i giornaloni romani ad affossarla, ma solo la stanchezza (o la ribellione?) di tanti cittadini a segnarne la fine. Ma verso quali sponde?
Giuliano Longo

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