Diabete giovanile, sviluppato un metodo diagnostico per predire rischio di complicanze

I risultati di una ricerca pubblicata su “Plos One”, che nel giro di pochi anni potrebbe portare in uso clinico un esame alternativo a quello dell’emoglobina glicata oggi in uso

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Obese e sovrappeso

Ricercatori dell’Università Cattolica del Sacro Cuore e della Fondazione Policlinico A. Gemelli di Roma in collaborazione con i colleghi della Facoltà Dipartimentale di Ingegneria dell’Università Campus Bio-Medico di Roma hanno sviluppato un metodo diagnostico basato su un software intelligente in grado di misurare con elevata semplicità e accuratezza il livello di gravità dei pazienti con diabete giovanile (diabete di tipo 1 o insulino-dipendente) e quindi il rischio di complicanze (retinopatia, nefropatia, ipertensione), anche per capire quanto bene il paziente gestisca la sua malattia (ovvero tiene sotto controllo la glicemia nel lungo periodo, evitando rapide variazioni della concentrazione di zucchero nel sangue).

Messo a punto nell’ambito di una ricerca pubblicata sulla rivista “Plos One”, il metodo diagnostico si basa su un software che riconosce automaticamente informazioni dalle immagini microscopiche di alcune cellule del sangue del paziente (globuli rossi): è sufficiente, quindi, un semplice prelievo per eseguire il test. Il suo fondamento è nel fatto che se il paziente va incontro a molti episodi di aumento di glicemia, quindi non controlla bene la malattia, la membrana dei globuli rossi ne viene danneggiata e il software è in grado di captare con elevata sensibilità questi danni.

La ricerca è stata condotta dal dr. Giuseppe Maulucci, ricercatore confermato e dal prof. Marco De Spirito dell’Istituto di Fisica dell’Università Cattolica. Lo studio si e svolto nel laboratorio centralizzato di microscopia ottica ed Elettronica (LABCEMI) della stessa università. Allo studio ha partecipato l’Istituto di Patologia Generale della Cattolica,  l’Unita Operativa di Diabetologia del Gemelli con il suo responsabile, dr Dario Pitocco e un suo collaboratore dr Alessandro Rizzi e  l’Unità di Sistemi di elaborazione e Bioinformatica dell’Università Campus Bio-Medico di Roma (Ing. Ermanno Cordelli, prof. Giulio Iannello, prof. Paolo Soda).

Attualmente il controllo della progressione del diabete giovanile (una malattia autoimmune in cui il paziente perde la capacità di produrre insulina e quindi di regolare la glicemia e deve ricorrere a iniezioni di insulina al bisogno) e del rischio di complicanze vascolari si ottiene con il cosiddetto esame della emoglobina glicata, che misura quante molecole di zucchero si attaccano all’emoglobina nel sangue. Tuttavia non pochi dubbi sull’attendibilità di questo esame sono emersi di recente, in quanto non è infrequente vedere la comparsa di complicanze vascolari anche in chi ha valori sempre buoni di glicata.

Un nuovo test per capire come viene gestita la malattia sarebbe dunque utile nella routine clinica.

Gli esperti dell’Università Cattolica e del Gemelli si sono accorti che la membrana del globulo rosso risulta danneggiata se la malattia è mal gestita e vi è la tendenza a troppo zucchero nel sangue (episodi frequenti di iperglicemia). In particolare cambia la composizione della membrana del globulo rosso, che risulta più fluida e il sistema messo a punto è in grado di captare questo cambiamento di fase utilizzando immagini del globulo rosso ottenute al microscopio.

Il test si realizza in modo molto semplice: “Dopo il prelievo – spiega il dottor Maulucci – vengono estratti i globuli rossi, messi su un vetrino, ‘colorati’ con una molecola fluorescente e ‘fotografati’ con un particolare microscopio. Queste immagini sono poi analizzate da un algoritmo ‘intelligente’”.

Questo nuovo test supera quello dell’emoglobina glicata in termini di sensibilità e di accuratezza, ma bisogna lavorare a un prototipo che abbassi i costi di realizzazione. “Il test potrebbe plausibilmente arrivare in uso clinico nel giro di pochi anni”, auspica il dottor Maulucci.