L’inespugnabile Rai, una medaglia a due facce che produce sempre “riforme conservative”

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Marco Travaglio (editoriale di oggi 13 marzo) constata che la Rai o la cambi o ti cambia. E dunque ravvisa la necessità che M5S, nel mentre che brancola afferrando quel che capita nella Rai che c’è, metta in campo alta e forte l’idea che vada del tutto cambiata.
Fossimo M5S raccoglieremmo l’idea al volo perché un elettorato così sensibile alla dialettica popolo vs élite è prontissimo a piazzarli (gli M5S, dalla baracca – Rousseau – fino ai burattini), fra le detestate élite, man mano che i soliti TG, i soliti Talk show (sempre “soliti”, indipendentemente da chi li conduce) e, a dirla in breve, la solita TV appare sullo schermo dalla mattina alla sera.

I problemi cominciano quando si tratta di delineare i contorni della proposta di cambiamento. E qui proviamo a dire la nostra.
La Rai va considerata come una medaglia a due facce (ad oggi, entrambe negative). C’è la faccia della governance, ovvero del come se ne nominano i dirigenti; e c’è la faccia di come sono destinati i due miliardi dei quali annualmente dispone. Le due facce stanno su insieme e insieme cadono. E per capirlo conviene partire dalla seconda. Da quarantacinque anni le risorse Rai sono spese essenzialmente per tenere in azione un brulichio di testate giornalistiche (ad uso, del “pluralismo”, deformato in particolarismo di bottega) che si moltiplicano in un infinito numero di edizioni, come le scope animate dell’Apprendista Stregone in Fantasia di Walt Disney. Ed è questo il consolidato lato della medaglia che condiziona l’altro, quello della governance, e non viceversa, come invece postulano per forma mentis i valorosi giuristi coautori del progetto di riforma Move On invocato da Travaglio.

Per questo, è da quarantacinque anni che l’assetto esistente produce “riforme conservative”, volte sostanzialmente al mantenimento di quel che c’è (anche se al peggio non c’è mai fine). Da qui il ritornante spettacolo offerto dalla Commissione di Vigilanza, con parlamentari tirati per i fili dai gruppi di interesse nell’azienda. Così come i membri del Consiglio di Amministrazione. E non è proponendo di abolire la Commissione (che certo non va mantenuta) o il Cda, nè sostituendoli con un’accolta di designati (?) dalla società civile (????) che si sposterebbe di un millimetro la irriformabilità della Rai.

Al meglio ci si doterebbe di una bandierina propagandistica da sventolare. E qui, chi si accontenta gode.
Chi non si accontenta dovrebbe invece arrovellarsi sul piano della sostanza (quale Rai serve? Per cosa? Come?) e su questa base organizzare confluenze politiche, parlamentari, sociali e culturali volte, a colpi di riforma vera, ad espugnarla. Perché di questo si tratta: espugnarla, e non di escogitare cappellini da poggiarle delicatamente sul capo.

Stefano Balassone
Già nel cda Rai e vicedirettore di Rai3