Qualche intellettuale dichiara su Twitter (il più elitario fra i social) di avere un debole per Made in Sud. Altri invece ne comunicano il disprezzo ad amici e sodali. In più, questi applausi e fischi arrivano per la nona edizione Rai, ripresa nel 2019 dopo aver saltato il 2018. Perché tanta attenzione e perché proprio ora?
Siamo corsi su Rai Play a vederne un paio d’ore per cercare di dissolvere il mistero.
La confezione, intanto, è pregevole, la scenografia di Licheri e Cappellini si fa ben vedere, la regia e le coreografie sono lineari. I due conduttori fanno i belli senza parere sciocchi. La struttura del programma – oggi si dice il format – è lineare che di più non si può, basata su personaggi ritornanti, denominati parodisticamente Riccardo Bollicine che allude all’étoile, Secondario il figlio del Primario nella Sanità dei raccomandati, la contrabbandiera Olga convinta da Salvini a trasferirsi al sud per esercitare più apertamente l’arte propria, e via caratterizzando.
Struttura a ciliegia (scena una tira l’altra) arcinota ai varietà comici quali Non Stop e Drive In negli anni ’80; Avanzi, Tunnel negli anni ‘90 e Zelig fin quando se ne sono perse le tracce.
Se questo è il piano dell’espressione, per spiegare gli opposti giudizi degli intellettuali tocca guardare al contenuto che c’è e a quello che non c’è.
C’è, in effetti, una Napoli di popolani che perpetuano la “napoletanità”, spesso usata come una prigione caricaturale a beneficio dell’Italia di Salvini, che su quei luoghi comuni ci ha campato e tuttora ci prospera, anche ora che il focus si è spostato dai terroni agli islamici. Che poi quelle figure, come le statuine natalizie di San Gregorio Armeno, siano “vigorose” (e questo spiega la buona risposta di audience) aumenta semmai la pena di chi si preoccupa.
Ma, tanto per dire la nostra, a noi è parso che quelle macchiette siano – non tutte, ovviamente – “surreali” quanto basta per farci ridere di testa anziché solo di visceri e che, sia pure in vernacolo, esplicitamente richiamino tic e vizi dell’Italia intera. E infatti la risata riesce a scattare in misura pressoché analoga dall’Alpi al Lilibeo. Almeno secondo l’auditel.
Ma poi pensiamo che qualche benevolenza intellettuale Made in Sud la stia conquistando da parte di chi non ama la “televisione che c’è”, proprio grazie ai contenuti che NON ha: le imitazioni dei politici discendenti dal Bagaglino, la giuria dei VIP, le sniffata reality del C’è posta per te et similia. A dirla in breve, qualcuno, il solito intellettuale che ama distinguersi dalle audience, potrebbe riconoscere a Made in Sud il pregio della “classicità dell’avanspettacolo” rispetto alla televisione prodotta a mezzo di televisione, ingessata nella sceneggiata dall’anticasta al pianerottolo. Proprio quella sceneggiata italiana, altro che napoletana, che oggi governa. E così potremmo spiegare, diciamo così, l’attualità del dibattito.
Stefano Balassone
Già nel cda Rai e vicedirettore di Rai3