Dal “cocco” al “porno” di mamma: il caso inglese

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Auditel

Se foste in Inghilterra potreste vedervi sul servizio pubblico Tv, ramo Channel Four, mercoledì alle ore 22, tre episodi di “Mums make porn”. Qui si cerca evidentemente di estendere il campo della Real Tv oltre i territori fin qui coperti, e cioè aspetti della quotidiana vita di relazione, minimi di fronte alla Storia dell’umanità dalla Creazione in poi, ma assai importanti entro la dimensione di un singola vita come laccarsi le unghie, rassodare gli addominali, snellire i glutei, aggiustare i bagni, trovare la/e anima/e gemella/e (e via saccheggiando la posta dei lettori e i consigli delle dame da rotocalco). Questa soi disant Real Tv mostra fatti e non pratica concetti, ma è nondimeno oltremodo pedagogica perché insegna in buona sostanza ad adeguarsi alle attese del branco (amici, parenti, colleghi, influencer, etc) e ad acquisire sicurezza di se stessi. Qui sta a nostro avviso il motivo della crescente presa di questa roba, specie sul pubblico di teenager e post adolescenti, alla ricerca di istruzioni d’uso della vita.
Pedagogia per pedagogia, il Servizio pubblico televisivo di Sua Maestà ha pensato così che ce ne fosse bisogno anche e specialmente per sbrigarsela con la offerta di materiali porno, oggi a disposizione di click, senza doversi sobbarcare una visita a Soho e Pigalle. Obiettivo di fondo, supponiamo: attrezzare di spirito critico le mamme dei tanti ragazzini intenti all’esplorazione di fellatio, cunnilungus, sodomie, stupri, sadismi e masochismi di ogni razza e misura. La soluzione è stata di coinvolgere alcune mamme, cinque per l’esattezza, nel progettare –non interpretare, essendoci professionisti a ciò addetti- filmini pornografici sì, ma per così dire, educativi (ethical). La battuta, troppo facile, è che così si evolve dal “cocco” al “porno di mamma”.
È noto peraltro che il porno è un genere difficilissimo da realizzare in modo “diverso”. Per questo anche i più ben disposti finiscono invariabilmente per annoiarsi con le offerte XXX (il segno grafico che segnala l’offerta web di sesso eventualmente misto a violenza). Ben lo sanno i gestori delle tante sale cinematografiche che a fine anni ’70 si buttarono sul porno perché gli altri film si erano tutti trasferiti sulle neonate tv commerciali. Di tante sale che ci provarono pressoché nessuna è riuscita a far quadrare i bilanci e a sopravvivere fino ai temi nostri.
In sostanza il porno è un consumo elitario (ma non nel senso inteso da Di Maio e Salvini) o, se preferite, di nicchia, anzi da bagno. E pare difficile che il volenteroso intervento dei funzionari televisivi e delle cinque mamme inglesi riesca a salvare il genere dalla “marginalità complice” (come in altro campo Uomini e Donne, per capirci) cui pare predestinato. Del resto Channel Four la sa lunga e lo trasmette alla stessa ora da “iniziati” in cui collocò a suo tempo la versione inglese del Grande Fratello. Che noi vedemmo invece in prima serata. Traetene voi le conclusioni.

Stefano Balassone