La Rai dell’eterno presente. Il futuro resta solo un lontano miraggio

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Sede della Rai a Viale Mazzini
Sede della Rai a Viale Mazzini

Si discorreva stamane in un gruppo di reduci di come la Rai sia l’azienda dell’eterno presente e riesca finora a perpetuarlo con le unghie e con i denti. Se al futuro non mette mai veramente testa è per la semplice ragione che gli interessi partitici, di mestiere e di mercato (il Duopolio) preferiscono tenersi lo stagno in cui da molti decenni sguazzano.

Ecco perché tra le rane del luogo è tenuta in grande onore la virtù iper statica del “garantire” (talvolta travestita da “pluralismo”).
In tempi lontani questo assetto di interessi politici, corporativi e monopolistici era sostanzialmente appoggiato dall’elettorato: tutti cercavano il “proprio” telegiornale; ogni famiglia coltivava il sogno del figlio giornalista, magari d’assalto; il legame strutturale fra il Duopolio Rai Mediaset e il conflitto di interessi restava non percepito. Al massimo, si gracidava dei vantaggi mediatici (mai dei privilegi economici) di Berlusconi, a costo di dare dei cretini ai non pochi italiani che lo votavano.

La domanda è: si può passare dall’acqua stagnante a quella corrente? Dalla pozza al torrente e al fiume? No, se non lasci defluire le acque aprendo gli argini. E così la Rai non può defluire verso il futuro se non demolisce il proprio piano editoriale, sempre replicato da quaranta anni, sempre identico a se stesso perché sempre ridotto a corollario di telegiornali tanto molteplici quanto “improduttivi”; a “retailer” di notizie molto più che narratori del mondo; restati tali e quali mentre sopravveniva di tutto (satelliti, canali digitali, internet, social network, etc).

Se sono chiare le radici della irriformabilità della Rai (non importa se evoluta o meno nella media company di cui gracida l’ultimo “piano industriale”) resta tuttavia da chiedersi se, indipendentemente da quel che riesca a fare di sé “la Rai” –cioè il mondo che ci e ne vive-  esistano fuori da quello stagno altri interessi professionali, politici, culturali e industriali cui convenga una “Rai diversa” anche suo malgrado, che possano convergere su un’idea di grande riforma che sfasci gli argini dello stagno. Se mai gli elettori se ne facessero convincere.

La nostra idea è che gli interessi volti al futuro siano molto ampi, ma dispersi. L’elenco è enorme, senza essere  lungo: si parte con le legioni di ragazzi, la generazione in assoluto più competente in materia di comunicazione, condannate a restare fuori dallo stagno perché li sono già troppi; si arriva all’intero campo del made in Italy, compresa l’industria turistica, cui serve anche il soft power di bandiera per consolidare il proprio insediamento nell’immensa clientela del ceto medio mondiale.
Ma sono, come dicevamo, interessi tanto estesi quanto scollegati. E quindi sarebbe compito di una qualche politica rincorrerli, interrogarli, sintetizzarli, dargli una piattaforma e una coscienza di sé. Affinché sia la Nazione -finora distratta- ad afferrare la Rai per i capelli, prima che lo stagno diventi sabbie mobili.

Stefano Balassone
Già nel cda Rai e vicedirettore di Rai3