«Terremoti? Prevenire si può». Intervista all’esperto della Protezione Civile Moscardini

Dal "Fascicolo del fabbricato" per prevenire catastrofi, alle opere edilizie fino alla ricerca. Ecco come affrontare il rischio sismico

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di ALBERTO SAVA

L’Italia è stata al centro di una scossa che ha fatto tremare lo stivale da Bolzano alla Sicilia, ma sono le regioni centrali che hanno subito fenomeni sismici devastanti e dove la terra continua a tremare. Anche il nostro comprensorio ha avvertito alcune delle scosse recenti più forti. Il nostro è un Paese ad alto rischio sismico, ne parliamo in questa intervista con Piero Moscardini, esperto di altissimo profilo professionale che vive a Cerveteri dal 2011. Proveniente dai vigili del fuoco viene distaccato presso l’ufficio Emergenze, Servizio Pianificazione e Attività Addestrative e del dipartimento della Protezione Civile; in qualità di responsabile o membro dei “nuclei di intervento-valutazione-collegamento”, partecipando alla organizzazione e alla gestione di centri operativi istituiti in emergenza, in occasione di molteplici emergenze sia in territorio nazionale che estero. Ha collaborato sin dall’inizio alle fasi organizzative del dipartimento della Protezione Civile, stabilendo contatti con Enti e Amministrazioni esterne e organizzazioni anche estere, che operano tuttora nel campo della Protezione Civile.

Quali problematiche sono legate agli attuali eventi sismici?
L’Italia è uno paese ad alto rischio sismico e gli eventi in atto stanno riproponendo la carenza di una politica post-sisma chiara e definita. Ad ogni evento sismico si evidenzia, l’incapacità storica di derivare dall’esperienza accumulata negli eventi passati, occorre un principio-guida della prima sistemazione delle persone ma anche nei modelli di ricostruzione, soprattutto per quanto riguarda la sopravvivenza dei nostri centri storici. È evidente l’assenza di principio-guida che non sia da reinventare ad ogni terremoto, ma un modello che si adatti di volta in volta alle diversità territoriali, sociali ed urbanistiche. Guardare, oltre taluni esiti negativi di cui è costellato il nostro recente passato, e cogliere azioni ed esperienze positive. Il vero problema è quello di saper leggere la dimensione della catastrofe, tracciando un percorso virtuoso, volto non solo a soddisfare il bisogno abitativo dei senzatetto, tutelando le realtà agricole sociali ed artigianali, ma anche salvaguardando i centri storici e le irripetibili valenze urbane, artistiche e monumentali, salvando il patrimonio di storia e di cultura, quale radice dell’identità dei nostri territori.

Quali tipologie di soluzioni prospetta?
C’è in atto una emergenza abitativa e il metodo è quello di offrire una “sistemazione temporanea” ai senzatetto per consentire la loro collocazione nei luoghi di origine articolandosi nelle seguenti scelte: dislocazione in tutto il territorio colpito, in campi attrezzati e in località sparse, di moduli abitativi mobili (M.A.M.) in quantità tali di offrire ai senza tetto un rifugio di emergenza; erogazione di contributi per la autonoma sistemazione dei nuclei familiari evacuati; attivazione di un piano di ricostruzione dell’edilizia privata attraverso tre tipi di intervento: ricostruzione leggera, ricostruzione pesante e ricostruzione integrata.

Con quali criteri si trasferiscono tutti i terremotati sulla costa?
Deve essere solo il dialogo e la ricerca del consenso, perché una buona parte di evacuati non vuole mai lasciare i luoghi e, pur di rimanere vicini alla propria casa, preferirebbe una tenda, ma allo stesso tempo bisogna tener conto di creare condizioni di vita più adatte all’incedere della stagione fredda. Come in altri terremoti, si soffrono e si sopportano decisioni che comportano lo spostamento in un hotel o ambiente lontano. Chi ha un’azienda agricola vuole legittimamente essere subito sistemato in un “modulo abitativo posto sul proprio terreno”, perché la sua esistenza è legata alla terra, alla campagna e ai suoi animali. Importate è la individuazione degli anziani, così come le persone più deboli e non autosufficienti, concedendo anche un privilegio a chi ha un lavoro da dover proseguire, ma anche preservare i bambini ed i giovani legati alla attività scolastica che vedranno pregiudicata.

I terremoti stanno provocando un’ondata di volontariato spontaneo, è tutto così positivo?
L’impegno dei singoli cittadini si mette da anni in moto spesso spontaneamente e coinvolge emotivamente centinaia di migliaia di privati cittadini da tutta l’Italia, sia italiani che immigrati, che vorrebbero arrivare nei luoghi dell’evento. Ma gli operatori del soccorso hanno bisogno solo di volontariato testato e qualificato dalle strutture regionali o comunali. Altrimenti per salvare una persona si rischia di metterne in pericolo dieci.

L’Italia è per l’80% un territorio sismico. Quali provvedimenti lo Stato avrebbe dovuto prendere nel tempo?
Discutiamo sempre dopo i danni e i morti della mancata prevenzione antisismica. Non accenno nemmeno a eventuali polemiche sull’assenza di previsione, dal momento che attualmente non c’è alcun metodo di previsione efficace dei terremoti che sia basato su un consenso scientifico. Mi pare che il problema si possa sintetizzare in questo modo: non c’è sufficiente sensibilità di prevenzione antisismica, nemmeno nelle aree a pericolosità maggiore. Questo accade in un paese dove si è consumato territorio ovunque, e dove lo Stato ha sanato abusi edilizi. Di prevenzione antisismica si discute solo in occasione di terremoti. In un paese come l’Italia, con un patrimonio storico diffuso sul territorio e dove quasi ogni città o paese ha una parte di edifici vecchi di secoli, non si può parlare di prevenzione antisismica non curando edifici e beni storici. È un problema che riguarda anche la sicurezza, non solo la tutela del patrimonio e dell’identità dei luoghi e del paesaggio. Quindi, bisognava spendere da anni investendo in opere edilizie di adeguamento e nella ricerca scientifica sull’applicazione di tecnologie con sistemi antisismici, di controllo e tutela. Abbiamo speso tanti soldi solo dopo distruzione e morti, impegnando 120 miliardi di euro negli ultimi 50 anni. 145, secondo altre stime. Parlo di soldi per la ricostruzione, il costo della perdita di vite umane non è quantificabile. Mi sembra che da decenni non abbiamo scelto per il bene delle nostre genti e della nostra storia. I geologi chiedono da tempo anche l’adozione obbligatoria del “fascicolo del fabbricato”, uno strumento che permetterebbe una conoscenza più approfondita delle strutture per la prevenzione non solo di eventi catastrofici, ma anche di crolli e/o cedimenti. Strumenti simili sono già stati adottati in altri paesi europei. In Francia, ad esempio, è stato istituito già dal 1977 un libretto per “Gestione e Manutenzione; in Germania c’è il Diario Edilizio; in Spagna “il Libro” che consente la verifica della qualità dell’opera. Da noi, esistono tanti decreti e leggi sulla manutenzione delle opere, che spesso risultano slegati fra loro, senza una condivisione unitaria e coordinata tra Enti e professionisti, per altro spesso solo di “carattere settoriale”. Questi sono alcuni tra i problemi che dovrebbero essere risolti.

L’articolo in versione integrale sul Giornale della Provincia di domenica 6 novembre 2016

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