Orfini, alla gogna i cattivi che hanno rovinato il Pd romano

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Oggi Orfini trasmetterà i nomi alla Commissione garanzia del Pd. Ma di chi? Di quelli che hanno rovinato il partito romano faticosamente rimesso in piedi dai suoi tre anni di commissariamento.

Ieri  ai  200 compagni/amici dell’assemblea dei Democratici romani dichiarava: «È una bella giornata per me e per il PD che finisce una lunga stagione commissariale. Presenterò una relazione su questi 3 anni, 950 giorni, che chiederò di rendere pubblica. È stato un commissariamento duro, a volte sgradevole per voi e per me, ma non avrei saputo farlo in altro modo, lasciando la polvere sotto il tappeto». Se tanto ci dà tanto, Orfini è stato nominato commissario nei giorni successivi all’emersione dell’inchiesta Mafia Capitale grazie alla quale il Pd è stato sconfitto dalla inconsistente Raggi e dalle sparse orde grilline.
Nespole, un partito veramente di m… se come dice Orfini, prima del suo avvento «viveva di tessere e preferenze, in cui si occupavano i circoli e le istituzioni. Questo ha prodotto la scomparsa del Pd dal tessuto della città ed il crescere di modalità di selezione discutibili, dove non prevalevano i migliori ma i più bravi a muoversi in questo contesto. Un partito chiuso, infeudato, poco trasparente ed economicamente insostenibile».

Poi è arrivato il fedelissimo di Renzi, il Matteo 2 terminator che a Roma si è beccato il 60% dei NO al referendum indetto dal suo capo nel dicembre dell’anno scorso. Ma lui, Orfini, sconfitta dopo sconfitta, si complimenta con se stesso. Infatti nei tre anni del suo commissariamento ha sconfitto quel Pd “cattivo e pericoloso” che il funzionario del ministero dell’economia Fabrizio Barca aveva mappato con una sua indiscutibile ricerca sociologica. Quel Barca che Eugenio Scalfari aveva addirittura proposto a segretario del partito dopo che Renzi si era accomodato sulla poltrona della presidenza del Consiglio, fatto fuori malamente Letta da lui, da Giorgio Napolitano e dall’estabilishment piddino, con la complicità di Bersani, Cuperlo e soci che speravano di sopravvivere nel partito di Renzi.
Oggi Orfini forte della sua presenza nel Gotha renziano (anche se non proprio fra il cosiddetto ‘Giglio magico’) ammette candidamente che «ho voluto accentrare tutto su di me, ogni scelta che ho fatto la ho presa in piena autonomia». Così parlò anche Trozky prima di essere fatto fuori da Stalin.

Ora c’è una parte di questo partito, che fra un inciucio correntizio e l’altro, ha abbozzato accettando questa sfida «continuando a lavorare» ma «altri hanno fatto scelte diverse aspettando che finisse questa lunga fase». Oibò, allora ci sono ancora i reprobi che non accettano questa conclusione da soap opera (si fa per dire, perché volano pur sempre i coltelli) e si sono trovati anche a perdere la presidenza dell’assemblea dei 200.
Ma è adesso che comincia la resa dei conti perché sin nelle più sperdute periferie si verrà a sapere chi «aveva la responsabilità di guidare il Pd e lo ha ridotto come io lo ho trovato» quindi secondo Orfini tutto non «va ridotto tutto in cavalleria» ma «vanno accertate le responsabilità individuando chi le ha causate»

Una minaccia non indifferente per chi, da almeno 10 anni, ha governato questo partito esclusi quelli che colpevoli o innocenti sono stati condannati, patteggiati, archiviati o assolti, perché coinvolti nella liason mauvaise con Buzzi il grande corruttore. A sputtanarli  ci hanno già pensato i giornaloni, avidi di veline della Procura e di condanne facili prima ancora delle sentenze.
Orbene, se l’elenco di Orfini fosse completo (ma non è detto perché anche lui, che è un duro non vuol farsi troppo nemici. Si sa mai…) nel mucchio ci dovrebbero andare Bersaniani e ex D’Alemiani della prima e della seconda ora, idem per Veltroniani ruspanti e Doc, Margheritini, Franceschiniani, Bettiniani, Zingarettiani e tanto altro ancora.

Non è un caso che Umberto Marroni oggi onorevole ed ex capo gruppo del Pd con l’amministrazione Alemanno, che di questo partito sa morte e miracoli, mette le mani avanti. Perché dopo un peana alla segreteria di Casu e al nuovo partito risanato dal commissario e rinato dalle macerie del precedente, fa sottilmente presente che «appena acquisita la sua relazione sul commissariamento, sono sicuro che come Commissione Nazionale di Garanzia faremo piena chiarezza anche sul passato, auspicando che tali problemi non ricadano sul nuovo gruppo dirigente per permettergli di operare con un nuovo slancio». Che è come dire guarda che nella Commissione ci sono anch’io.

Potrebbe accadere che fatti i nomi ci scappi magari qualche querela, se non fosse che nel Pd alla fine si vogliono tutti bene e si perdonano, se non altro per non scatenare la ridda dei ricatti e contro ricatti. E poi oggi nel Pd romano si discute, si fa politica anche se il congresso che ha eletto il nuovo segretario Casu (sulla base della antica e consolidata conta delle tessere) ha visto la partecipazione di 4.000 militanti sugli 8.000 iscritti. Uno sputo nel mare metropolitano.

Anzi, pare proprio che il Casu, senza l’apporto di quel 5% della componente del governatore pugliese Emiliano rappresentata a Roma dall’on Marroni, nemmeno avrebbe ottenuto la maggioranza. Mentre Zingaretti e i suoi dopo aver sostenuto Orlando alle primarie, osavano partecipare alla manifestazione per l’unità della sinistra di Pisapia a piazza santi Apostoli. Risultato, Renzi si incazza e fa sfumare la candidatura di Nicola al Senato che, adesso se la dovrà vedere per le regionali magari con Pirozzi e la Lombardi dei 5 stelle.

Ma Orfini teme, anzi, freme perché «quelle degenerazioni (di cui lui nulla sapeva nonostante sia stato un dirigente romano sotto l’ala protettrice di D’Alema) possono tornare» e «non sono sconfitte per sempre». O meglio, non è detto che renziani e  turborenziani rimangano a lui avvinghiati per sempre. Ora Orfini nel lasciare nelle mani del giovane Casu il governo del Pd romano (perché solo essere giovani conta in quel partito dall’elettorato vecchio) vanta la festa dell’Unità (che nel frattempo ha chiuso i battenti) e il tesseramento che dovrebbe stare sugli 8.000 tesserati.

In fondo Orfini se ne va con gloria, ca va sans dire, perché la natura stessa del Pd è cambiata e lui, grazie alla Procura, ne ha favorito il cambiamento. Di che tipo? Lasciamolo giudicare ai pochi militanti rimasti, ma soprattutto all’elettorato che spesso non sa nemmeno chi sia l’on. Orfini.

Giuliano Longo

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