Il pozzo senza fondo di Roma nelle mani della Raggi senza opposizione

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Con lo svolgimento della formula E, la race dei potenti bolidi a motore elettrico che dovrebbe svolgersi l’anno prossimo all’Eur, Virginia Raggi intende rilanciare la sua immagine di sindaca aperta ai grandi eventi sportivi, mentre è caduta l’occasione olimpica e lo stadio della Roma, ancora in forse nel suo progetto originale, è al vaglio  Regione. Nulla a che vedere, per carità, con il sogno del Gran Prix di formula uno vagheggiato da Alemanno, che avrebbe sconvolto gli assetti sonnacchiosi dell’Eur, ma soprattutto avrebbe richiesto investimenti milionari per una operazione dai discutibili risultati in termini di ritorno economico. Eppure questa scelta della Raggi, a ben vedere, è una tessera del suo mosaico del consenso che la sindaca sta pazientemente componendo a dispetto di una stampa che le è per lo più ostile. Basti guardare alle sue più recenti mosse. Intanto lo sblocco del salario accessorio per i 23mila comunales che le garantiscono un bel bacino di voti e quel sostegno sindacale che con Marino era venuto ad appannarsi. Una scelta su cui il Ministero delle Finanze sospende ogni giudizio, ma sulla quale potrebbe calare la scure della Corte dei Conti per gli anni precedenti, nei quali  questa sorta di compenso integrativo è stato erogato. E pensare che l’11 aprile, in piena campagna elettorale, Beppe Grillo con un’intervista a Libero, aveva parlato di tagli ma escludendo dai risparmi proprio i dipendenti comunali, precisando: «Quelli precisi e perfetti non hanno nulla da temere. Noi siamo contro gli esuberi di personale che dentro gli uffici ci saranno per forza.» In novembre   era stato anche più duro: «Se azzeriamo tutte le amministrazioni, quello che intendiamo fare, ci saranno nell’immediato effetti collaterali abbastanza pesanti» ma, aggiungeva,in caso di vittoria dei 5 Stelle, «avremo, e i romani devono saperlo, scioperi, gente che verrà in Comune a chiedere perché, persone che perderanno il lavoro. Non abbiamo il reddito di cittadinanza: se lo avessimo andremmo alla grandissima. Ma devono capire i romani che miracoli qui non li fa nessuno.» Calma Beppe, perché  Virginia  il miracolo lo fa assicurandosi un bel pacchetto di voti per il futuro. E non finisce qui, perché lei non ha proprio alcuna intenzione di eliminare, tagliare o privatizzare le municipalizzate con i loro 40mila dipendenti.  Ha un bel fare il duro con i sindacati  l’assessore alle partecipate Massimo Colombàn quando  diceva  «io sono molto buono e ce la metterò tutta per non mandare a casa nessuno, ma non mettetevi a fare scioperi, perché se la guerra la dichiarate voi allora siamo in guerra e io sono capace di starci». Ma quale guerra se Virginia dei miracoli  di Ama non  cede neanche un pezzettino e a Ferrovie in Atac manco ci pensa (per non parlare di Farmcap, Assicurazioni di Roma ecc.). Ormai   Virginia dei miracoli trova ampio consenso sindacale, dalla trimurti (cgil, cisl e uil) sino al più insignificante sindacato di autisti. Non più tardi di qualche giorno fa il Corriere della Sera si chiedeva dove sta l’opposizione alla Raggi. Paradossalmente potremmo dire che quasi tutta l’opposizione di destra e di sinistra sta con Virginia  per il semplice motivo che  lei porta avanti quello che il Pd e i Fratelli d’Italia hanno sempre sostenuto, con la scusa della difesa della occupazione: a Roma non si tocca niente sennò si apre un problema sociale. Per la salvezza del quale la Capitale ha accumulato nei decenni un debito di 13 miliardi e passa che i romani e lo Stato pagheranno per i prossimi 30 anni. Insomma la Virginia dei miracoli persegue la  tradizionale politica di immobilismo clientelare di destra e sinistra consociativa degli ultimi 10 anni. Intanto  mette le mani sui vertici della macchina amministrativa con il fedelissimo e discusso Marra, non tanto per evitare la corruzione, ma per esercitare il suo indiscusso controllo. Un strategia tutta frutto del genio di Virginia? ne dubitiamo. Rebus sic stantibus tutto dovrebbe filare liscio in futuro. Non proprio perché la palude capitolina sta costando cara a tutti gli italiani e  la coperta diventa sempre più stretta. Infatti se bisogna  dare subito 30 milioni ai comunales occorre, ad esempio, tagliare lavori già deliberati.  Se poi l’ammontare totale del salario accessorio arretrato  sarà di 340milioni non reggerà a lungo la storiella  che i risparmi a copertura sono già stati realizzati con i tagli a bilancio fatti da Marino e dalla sua ex assessora Scozzese.  Viviamo così una situazione di micragnoso e interessato immobilismo grillino che si rafforza con l’assuefazione del popolo a buche, strade e marciapiedi dissestati, monnezza debordante, bus inesistenti ecc. A tutto ci si abitua con 2.000 anni di storia alle spalle e con tutto si convive. Tuttavia non  vorremmo essere profeti di sventura per la giovane e gajarda sindaca , ma mentre a Roma cantieri e occupazione languono, il turismo vivacchia e l’impresa tecnologica campa male e l’occupazione ristagna ,  la spesa corrente del Comune invece aumenterà soprattutto in salari e prebende che già sono l’85% del bilancio capitolino.  Intanto la Raggi fa la dura con il Governo e minaccia di rinegoziare i 13 miliardi del debito che in pratica significherebbe un ‘salva Roma’ continuo a discapito di tutti i contribuenti italiani, Da Bolzano a Trapani. Ci chiediamo, quale governo, eccetto forse quello di un Di Battista leader, potrebbe sostenere il foraggiamento continuo  del  baratro capitolino? Allora è evidente che la partita si giocherà sui bilanci 2017 e 2018, ma intanto Virginia dei miracoli e i suoi camperanno….praticamente senza opposizione.

Giuliano Longo

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