Sono romano e abito a Roma. Non dico questo per rafforzare il mio senso di appartenenza, ma semplicemente per sottolineare che da bravo viaggiatore enogastronomico, difficilmente vado a visitare ristoranti siti nel centro della città, specialmente vicino alle mete più turistiche.
E’ pur vero, però, che può anche succedere di fare una passeggiata in quel del Colosseo e cedere ai morsi della fame, andando contro la propria dottrina: mai andare nei ristoranti frequentati da turisti.
Così è stato: sono le 19.00 di un giovedì pomeriggio e durante una passeggiata in via di San Giovanni in Laterano, entro nell’Hostaria I Clementini. Vista l’ora, non ero certo mi facessero entrare, ma fortunatamente mi sbagliavo.
Entrando, si apre davanti a me una saletta rettangolare con tavoli e sedie in legno che staccano piacevolmente dai toni chiari che li avvolgono. L’attovagliamento è in stile classico Hostaria, ma la mise en place elegante e i calici a stelo lungo fanno subito intuire l’impronta che è stata data al locale.
Mi accolgono immediatamente due persone che simpaticamente mi chiedono se mi voglio accomodare lì e nel giardino interno. Scelgo la seconda opzione e vengo accompagnato. Fortunatamente il personale è cordiale, perchè le divise davvero non sono piacevoli quanto chi le indossa. E’ pur vero, però, che non dovrò guardarle mentre mangio
Il giardino interno è situato sul retro del locale ed è munito di un tetto elettrico: mi viene spiegato che quando il tempo lo permette, viene completamente aperto.
L’aspetto positivo di voler cenare all’ora della merenda, ha coinciso all’avere il ristorante tutto per me. Purtroppo per me, ma per fortuna dei gestori, dopo qualche minuto iniziano ad arrivare i primi clienti (si sà, i turisti manngiano presto). Riesco, però, a fare qualche foto delle due sale.
Il menù riprende i colori che mi circondano e devo dire che il bianco e l’arancioni sono tonalità che almeno a me, infondono allegria. In carta trovo piatti della tradizione e preparazioni più elaborate: dalla Amatriciana al Pastarmi…passando per secondi piatti di pesce più o meno particolari.
La mia scelta, quindi, vira su una sperimentazione completa. I presupposti, in fondo, ci sono tutti: ho fame, c’è ancora poca gente e il locale mi piace.
Chiedo anche di avere la carta dei vini, dato che sono uno di quei clienti che sceglie insieme liquidi e solidi. In questo passaggio, purtroppo, c’è la prima nota dolente: la lista è un pò scarna e forse guarda poco al territorio. Opto allora che una Ribolla Gialla: parliamo di vitigno italiano a bacca bianca autoctono del Friuli-Venezia Giulia e della Slovenia. Essendo caratterizzato da un aroma delicato e floreale, mantiene comunque un equilibrio in bocca che lo rende anche un vino a tutto pasto.
Mentre leggo ancora il menù, chiedo di portarmi la bottiglia e “volendo puntualizzare”, chiedo due volte glacette prima d’iniziare a bere. Niente, se rimaniamo intorno al vino, non ci siamo.
All’arrivo dell’antipasto, però, inizio a dimenticare i piccoli intoppi avuti con il vino.
Devo dire che rimango abbastanza stupito, sia dall’impiattamento che dal sapore. Il crocchettone di baccalà mantecato su vellutata di ceci si rivela un inizio pasto saporito e finalmente, qualcuno che serve una baccala mantecato non con la solita quenelle, ma rielaborando un piatto che è ormai quasi diventato statico. La panatura è croccante e la vellutata è molto soffice e delicata. La mia sola paura era nell’incontrare un baccalà troppo sapido, oppure, lattoso: no, il piatto era fatto davvero a mestiere.
Come dicevo, passo dal piatto elaborato al tradizionale e proseguo con un primo piatto classico della cucina romana: cacio e pepe.
C’è poco da dire, dato che ciò che ho davanti è stato cucinato a mestiere. La prima menzione di merito va alla scelta del formato di pasta: il tonnarello. Sono romano e quindi, amo la tradizione.
La cialda di parmigiano è un qualcosa che ormai è stato quasi dimenticato. Qualcuno dice addirittura sia fané, ma io non concordo affatto: la cucina non appassisce mai ed è piacevole ritrovare tecniche ormai abbandonate.
Tonnarello cremoso, con una sapidità equilibrata e giusta cremosità. Il pepe non copre i sapori e non c’è ombra di panna o di latte: fidatevi, molti ristoratori la utilizzano.
Chi mi sta leggendo, penserà che io a casa non mangi. Cosa devo dirvi? Quel pomeriggio ero davvero affamato e l’aver pranzata alle 12.00 con un tramezzino, mi ha permesso di ordinare anche un’altra portata.
Arriva al tavolo, infatti, un polpo grigliato con peperoni agrodolce e croccante di sesamo.
Non ci voglio credere, ma è buono anche il polpo. L’aceto con cui sono stati sfumati i peperoni, si sposa benissimo con il croccante di sesamo. La prossima volta che tornerò (e tornerò), mi permetterò anche di chiedere come è stato cucinato il polpo: se è stato “semplicemente” rosticciato, lo hanno lavorato davvero bene. E’ uno di quei piatti che ti lascia la “bocca buona”, con piacevoli sentori che ti accompagnano dopo pasto.
No, non temete…non sono riuscito a ordinare il secondo
Chiedo il conto e stavolta non c’è attesa. Mi viene portato dopo pochi minuti e con dei biscottini offerti (che non mangerò, non ce la faccio) mi viene chiesto se è andato tutto bene. Annuendo e ringraziando, guardo un pò storto la bottiglia e senza la domanda di ulteriori spiegazioni, mi viene detto che stanno rifacendo la carta dei vini. Credo siano cosciente sulla scarsa offerta attuale.
Morale della favola: ve lo consiglierei? Si, anche perchè ho mangiato davvero bene in un contesto accogliente e con personale di sala preparato e simpatico.
Sarò, però, anche sincero: se avete voglia di passare una serata a chiacchierare con una bella bottiglia di vino…no, guardate altrove. Almeno per ora.
Ah, dimenticavo…dato che vi sto consigliando di andare, vi prego anche di non fare come me e di andare sul tardi. Sapete com’è, mi piace stare largo.
Andrea Pantagruel
(http://www.pantagruel.biz)