Che cos’è il Pd Romano? E cosa vuole diventare?

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Ma che cosa è il Pd Romano? Specchio di una realtà nazionale che dopo il referendum lo relega (si fa per dire) al 30% dei voti come ai tempi di Veltroni o una “cosa” diversa annichilita da mafia capitale e dalla schiacciante vittoria della Raggi? Eh sì perché la sinistra romana e il Pd  non è mai stata esattamente quello che il renzismo già trionfante prefigurava. E’, appunto, una “cosa” diversa che il leader declinante non ha mai amato, anche solo perché nella città dei ‘sette colli’ non ha mai vinto un congresso. Ora succede che questo partito ha una alzata di ingegno e nella saletta del palazzo Santa Chiara si riunisce  con alcuni ex minisindaci, Veloccia, Santoro insieme a quella attuale Alfonsi. In platea i volti nuovi di Tocci, Cosentino, Leonori, Estella Marino, l’on Miccoli,l’ex assessore Causi,l’ex assessore  Masini, la consigliera Baglio, assente il consigliere Palumbo che comunque ha aderito all’iniziativa. Chi più o meno legato all’esperienza di Ignazio Marino e chi invece antirenziano tout court. Nel frattempo Orfini riapre il circolo di Torbellamonaca (perché aveva chiuso anche quello?)  accompagnato dalla fida ex consigliera Tempesta trombata alle comunali. I primi, quelli del Santa Chiara,  invocano un congresso ‘vero’ a tesi e non per alzata di mano secondo le indicazioni delle consuete correnti. Mentre Orfini, che avrebbe risanato un partito “marcio” con il suo commissariamento, per il congresso la tira per le lunghe e aspetta di vedere cosa deciderà Renzi. Insomma, turborenziani e anti renziani a confronto (ma senza tanto clamore per carità perché il grande rottamatore sta tornando). Chi cercando sui territori le radici di un partito che fu, chi  come Orfini, baloccandosi in giochetti tattici che tutto possono generare, ma non la rinascita di un partito avvilito proprio da Lui (e per la sua di gloria) a stampella di mafia capitale. Che messa così non si può neanche dire che si avvii una seria discussione interna, una sorta di autocritica salvifica che preluda alla catarsi del Pd romano o quantomeno a una sorta di modesta rinascita. L’altra sinistra quella di Fassina o di Smeriglio è afona, assente, irretita forse dal miraggio di Pisapia che con la Boldrini vorrebbe una sinistra sinistra che non si opponga a Renzi, anzi. Siccome la gente di tutte queste ammuine poco o niente capisce e non riesce nemmeno più a trovare circoli che facciano il proprio mestiere sui territori anziché contare le tessere ormai rare ,la gente, dicevamo, continua a dare il proprio consenso alla Raggi e ai grillini oppure scoglionata non va a votare. Hai voglia ad avere dalla tua tutta la stampa che legge si e no un decimo dei romani,  ma se non spieghi al popolo che Buzzi era un sistema, ma non il Pd, se non hai il coraggio di mettere il naso nelle condizioni reali della gente, se non t’arripii con un lavoro capillare di ascolto e proposta, loro, i grillini vinceranno sempre, perché loro sono ‘contro’, punto e basta. Se poi vai dietro a Orfini che sul marcio del partito romano e la defenestrazione di Marino ha costruito la propria carriera politica, il Pd non andrà da nessuna parte. Anche se l’inettitudine della Raggi dovesse aprire scenari diversi ben prima della scadenza del suo mandato. Per di più in questa situazione manca al Pd romano un suo leader politico vero, non per imitare l’esperienza di Renzi che andava bene sinché vinceva sempre, ma per ricomporre le forze ancora esistenti, dare anima e prozac a un partito depresso. Dare una speranza a quel campo vasto della sinistra che comunque è ancora un terzo dell’elettorato e che ha radici profonde che qualcuno, come il commissario Orfini, ha badato bene di recidere buttando il bambino con l’acqua sporca. In un contesto ‘post ideologico’ (ma fateci il piacere!) dove quello che conta è il capo e non le idee, dove destra e sinistra sono la stessa cosa, si possa favorire il populismo grillino che acchiappa da sinistra e da da destra, poco importa. Senza che a sinistra si osi dire che per organizzazione interna, spregiudicatezza politica e disprezzo delle tradizionali forme della democrazia, i grillini sembrano sempre più i neofascisti della rete il cui unico obiettivo è una improbabile conquista del potere nazionale. Diciamo allora che se Roma è stata il laboratorio dell’esperienza unitaria di Rutelli, del sogno del bipolarismo di Veltroni e della nuova socialdemocrazia di D’Alema, da qui dovrebbe venire una parola forte, una scelta al limite del dissenso rispetto ad un partito nazionale trasfigurato e in balia dei locali ras dei consensi. Ma per fare le rivoluzioni anche all’interno dei partiti, ci voglio le palle e a Roma pare che nessuno le abbia. E i militanti? Cinque o seimila tessere non bastano per sconvolgere il mondo, ma se fossero adesioni convinte e perché no, ideologiche (termine che fa schifo ai fighetti post moderni e leopoldini) basterebbero per cominciare un processo che non sarebbe né breve e né facile.

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