In queste ore era chiaro che la sorte del sindaco Ignazio Marino fosse nelle mani del commissario del Pd romano Matteo Orfini che paradossalmente, non agiva tanto su mandato di quel Pd capitolino, di cui pure lui è espressione, ma su un preciso input che viene molto più in alto, dal presidente del consiglio Renzi. Che si dimettessero quindi gli assessori in blocco e i consiglieri del Pd aveva ben poca importanza.
DISASTRO ORFINI – La sorte del Marziano era segnata e lasciamo alle cronache di media eccitati dall’odore del sangue (di Marino) dare conto di sviluppi abbastanza prevedibili delle sue dimissioni. Se al sindaco era sinora mancata la dignità di dimettersi “sua sponte”, a Orfini non dovrebbe mancare invece quel minimo di autocritica sull’operazione che ha condotto al rimpasto di luglio con due parlamentari, Causi ed Esposito. Un’operazione che è risultata di piccolo cabotaggio proprio quando la relazione Gabrielli offriva l’occasione per commissariare Roma che non è mafiosa ma sicuramente inquinata dalla corruzione diffusa nei suoi gangli amministrativi. Se a questo si aggiunge la mortificazione che parte del Pd romano ha dovuto subire con la relazione del prof. Barca (che sarà stata pure obiettiva, ma inconsapevole delle conseguenze politiche che avrebbe suscitato) le responsabilità di Orfini agli occhi del Pd e della sinistra tutta sono ancora più evidenti. Perché qualche innesto di deputati, uno assente dalle scene capitoline da quasi 10 anni e l’altro proveniente addirittura da Moncalieri, pur con tutta la buona volontà non potevano che rappresentare una “pecetta”.
LA DISCESA DI MARINO – Marino, oggi messo alla gogna, allora abbozzò convinto che sulla linea della trasparenza e della legalità (che purtroppo non fa funzionare i mezzi pubblici e pulire le strade) fosse possibile guadagnare tempo. Ma sicuro anche che sotto Giubileo i sindaci non si dimettono, salvo venir stecchito in volo dalle dichiarazioni non certo benevole di papa Francesco. Poi lo scivolone sulle note dei ristoranti. Gettare la croce e dileggiare Ignazio risulta oggi facile, se non vile, eppure, statene certi, nessuno chiederà le dimissioni di Orfini, il vero manovratore ieri del rimpasto e oggi, delle dimissioni del sindaco. Tanto meno nessuno rimprovererà a lui e allo staff di governo di Ignazio quel volontarismo privo di analisi vere sullo stato della Capitale e della sua amministrazione. Tutto di facciata e condito da vari “adesso si cambia verso”, “ora ci penso io”, “adesso vi spiego come si fa”, “avanti al lavoro pancia a terra”. Mutuando la linea di comunicazione del presidente del Consiglio che si avvale di ben altri staff e sostegni nei poteri che contano. enza contare che la classe politica, questa volta di sinistra, si era dall’inizio dimostrata non all’altezza dei compiti. Con innesti di sicura competenza quali l’ex assessore al bilancio Daniela Morgante, la sua sostituta Silvia Scozzese, Guido Improta ai trasporti, Flavia Barca alla cultura, Rita Cutini al sociale, Paolo Masini ai lavori pubblici che sono stati via via dimissionari senza essere coinvolti nelle indagini per mafia capitale come invece è avvenuto per l’ex assessore Daniele Ozzimo.
VERSO LE ELEZIONI – Se l’inchiesta di Pignatone ha disvelato più che la presenza mafiosa il livello della corruzione della capitale, non va dimenticato l’intrinseca debolezza di una classe dirigente piddina lacerata fra centri di potere e logiche di fazione non immuni dal consociativismo durante l’amministrazione Alemanno. Marino, che non è affatto stupido ma un politico collaudato e aveva subodorato la situazione, così decise di proteggersi con il suo cerchio magico confondendo fedeltà con competenza. Orfini di cerchi magici non ha avuto bisogno, investito di poteri fuori da ogni discussione, che pure in quel suo partito prostrato e mortificato sarebbe stata il sale della rinascita. E adesso? Adesso tutti gambe in spalla verso le elezioni, direbbe Renzi. Ma quali gambe?
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