La fine di un tormentone. Le dimissioni di Ignazio Marino da sindaco di Roma erano diventate un giallo sin dalla serata di mercoledì, prima che in un video annunciasse di restituire i soldi spesi con la carta di credito del Comune. Da lì in poi le ultime ventiquattro ore erano state uno stillicidio di annunci, spifferi, indiscrezioni, riunioni e pressioni per far dimettere Marino. Un’uscita di scena di un sindaco che, nonostante la richiesta ufficiale di dimissioni da parte del Pd, aveva provato a resistere fino all’ultimo a ogni pressione. La giornata era partita già nervosa con l’attesa della giunta convocata prima alle 11, poi spostata alle 12 e quindi tenutasi solo a partire dalle 13.
LE RIUNIONI – In mezzo, riunioni convulse e consultazioni. La prima era stata proprio tra il sindaco e il suo ex grande sostenitore Matteo Orfini che però, questa volta, aveva dato al sindaco l’ultimatum, una posizione che il segretario aveva condiviso con il premier Matteo Renzi. Nel corso della mattinata si erano susseguite poi le nervose dichiarazioni di alcuni assessori, come Pucci ed Esposito, che certificavano come “inevitabile la fine” di questa esperienza amministrativa. Poi, nel corso del primo pomeriggio erano iniziati a saltare gli assessori più vicini al governo Renzi, ma non solo. Prima lo stesso Esposito, poi il vicesindaco Causi, quindi l’assessore al turismo Luigina Di Liegro. Intanto la giunta si era prolungata e piazza del Campidoglio si era affollata: opposizioni, manifestanti pro-marino, e una marea sempre più numerosa di giornalisti riempivano una piazza che appariva ai turisti stranamente trasfigurata. Le guide turistiche cercavano di spiegare l’assembramento parlando delle possibili dimissioni del primo cittadino ma non venivano sempre capite. Nel frattempo si erano intensificati gli scambi: Orfini aveva incontrato Paolo Cento di Sel (che aveva pronta la mozione di sfiducia per mandare via Marino); le opposizioni avevano chiesto di tornare al voto subito, come il movimento Cinque Stelle che con Alessandro Di Battista aveva parlato di voto “il prima possibile”, confermando comunque di non essere “il candidato del movimento cinque stelle”. Agguerriti anche dalla Lista Marchini: per Alessandro Onorato bisognava “fare presto perché Roma è in una situazione pietosa. Maggio è la prima finestra utile per il voto. Non è possibile una via alternativa”.
LA GIUNTA – All’uscita dalla giunta gli assessori erano stati accolti da uno stuolo di fischi e insulti. Marino intanto aveva continuato a resistere, incontrando consiglieri comunali e presidenti di municipio: aveva provato a verificare quale maggioranza ancora lo sostenesse, ma il suo percorso era sempre più accidentato e in solitudine. Nella seconda parte del pomeriggio si era tenuto l’incontro di Orfini con Causi e dieci assessori. All’uscita della riunione il vicesindaco aveva spiegato ai cronisti: “Abbiamo avuto un incontro con Matteo Orfini, commissario del Pd Roma, insieme a 10 assessori. Abbiamo fatto numerose valutazioni politiche e siamo stati incaricati, io e Sabella, di andare in Campidoglio per riferire a Marino le nostre valutazioni che per rispetto comunicheremo prima a lui”. Poi era stata la volta dei consiglieri comunali, convocati al Nazareno da Matteo Orfini. La giornata si era conclusa infine con le dimissioni del chirurgo “marziano” dopo un lungo colloquio col vicesindaco Causi e dell’assessore Sabella.
LA LETTERA – “Care romane e cari romani, ho molto riflettuto prima di assumere la mia decisione. L’ho fatto avendo come unica stella polare l’interesse della Capitale d’Italia, della mia città. Quando, poco più di due anni e mezzo fa mi sono candidato a sindaco di Roma l’ho fatto per cambiare Roma, strappando il Campidoglio alla destra che lo aveva preso e per cinque anni maltrattato, infangato sino a consentire l’ingresso di attività criminali anche di tipo mafioso. Quella sfida l’abbiamo vinta insieme. In questi due anni ho impostato cambiamenti epocali, ho cambiato un sistema di governo basato sull’acquiescenza alle lobbies, ai poteri anche criminali. Non sapevo – nessuno sapeva – quanto fosse grave la situazione, quanto a fondo fosse arrivata la commistione politico-mafiosa. Questa è la sfida vinta: il sistema corruttivo è stato scoperchiato, i tentacoli oggi sono tagliati, le grandi riforme avviate, i bilanci non sono più in rosso, la città ha ripreso ad attrarre investimenti e a investire. I risultati, quindi, cominciano a vedersi.
Il 5 novembre su mia iniziativa il Comune di Roma sarà parte civile in un processo storico: siamo davanti al giudizio su una vicenda drammatica che ha coinvolto trasversalmente la politica. La città è stata ferita ma, grazie alla stragrande maggioranza dei romani onesti e al lavoro della mia giunta, ha resistito, ha reagito.
Tutto il mio impegno ha suscitato una furiosa reazione. Sin dall’inizio c’è stato un lavorio rumoroso nel tentativo di sovvertire il voto democratico dei romani. Questo ha avuto spettatori poco attenti anche tra chi questa esperienza avrebbe dovuto sostenerla. Oggi quest’aggressione arriva al suo culmine. Ho tutta l’intenzione di battere questo attacco e sono convinto che Roma debba andare avanti nel suo cambiamento.
Ma esiste un problema di condizioni politiche per compiere questo percorso. Queste condizioni oggi mi appaiono assottigliate se non assenti.
Per questo ho compiuto la mia scelta: presento le mie dimissioni.
Sapendo che queste possono per legge essere ritirate entro venti giorni.
Non è un’astuzia la mia: è la ricerca di una verifica seria, se è ancora possibile ricostruire queste condizioni politiche.
Questi i motivi e il quadro in cui si inseriscono le mie dimissioni. Nessuno pensi o dica che lo faccio come segnale di debolezza o addirittura di ammissione di colpa per questa squallida e manipolata polemica sulle spese di rappresentanza e i relativi scontrini successivamente alla mia decisione di pubblicarli sul sito del Comune. Chi volesse leggerle in questo modo è in cattiva fede. Ma con loro non vale la pena di discutere.
Mi importa che i cittadini – tutti, chi mi ha votato come chi no, perché il sindaco è eletto da una parte ma è il sindaco di tutti – comprendano e capiscano che – al di là della mia figura – è dal lavoro che ho impostato che passa il futuro della città. Spero e prego che questo lavoro – in un modo o nell’altro – venga portato avanti, perché non nascondo di nutrire un serio timore che immediatamente tornino a governare le logiche del passato, quelle della speculazione, degli illeciti interessi privati, del consociativismo e del meccanismo corruttivo-mafioso che purtroppo ha toccato anche parti del Pd e che senza di me avrebbe travolto non solo l’intero Partito democratico ma tutto il Campidoglio”.
Così, in una nota, il sindaco di Roma, Ignazio Marino.