Elezioni: Roma ha già dato il suo responso al primo tempo

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Virginia Raggi colloquio Casaleggio

Sta per consumarsi la prima settimana delle due che precedono i ballottaggi per le comunali di Roma e di molti comuni della provincia. Dire che nell’aria si avverta grande tensione e attesa non è proprio il caso, tanto più che una media di circa il 40% degli aventi diritto al voto nell’area metropolitana, nemmeno si è recato alle urne. E non è detto che molti di questi muoiano dalla voglia di farlo per i ballottaggi.
Ormai le campagne elettorali vengono condotte sulle pagine dei giornali, che rappresentano una quota sempre più modesta di opinione pubblica, e su Facebook dove gli appassionati della materia se le danno si santa ragione. Mondo virtuale circoscritto ed evanescente che non esprime flussi reali d’opinione. Non saremo noi a fare previsioni, ma rimaniamo convinti che la polemica imbastita dal Pd e da Montezemolo sulle Olimpiadi nel 2024 (sic) sposterà pochino gli orientamenti di voto a Tor Bella Monaca o ad Ostia dove hanno prevalso i 5stelle. Anche la stessa dichiarazione del mitico  Totti sulle Olimpiadi dà l’impressione che il Pd stia mobilitando più gli ambienti romani che contano, e non i ceti popolari delle banlieue. Nè giova ai Democratici l’assalto alla riservatezza della Raggi che eviterebbe il confronto pubblico con Giachetti.

La candidata grillina non è nè scema nè muta, ma ha scelto una precisa linea di comunicazione “low profile” che la protegge dal chiacchiericcio politichese. Semmai Virginia dovrebbe far tacere la onorevole Taverna che non ci risparmia fantasiose esternazioni. La Raggi difende il suo aplomb di modesta riservatezza, un po’ “pop” un po’ piccolo borghese, per distinguersi dai politici di professione che gran parte del popolo non ama. Finita è anche l’epoca degli apparentamenti e delle manovre sottobanco per il ballottaggio, perché i partiti tradizionali non hanno più il controllo dei territori e quindi dei flussi d’opinione, come dimostra il crollo di quasi il 40% delle preferenze rispetto alla competizione del 2013.

Ma quello di Roma non è stato solo un voto cittadino, bensì metropolitano tout court perché le stesse tendenze delle grandi periferie hanno contagiato i comuni attigui. Come se un anello del diametro di decine di chilometri si fosse stretto attorno al centro storico dove il Pd riesce ancora a reggere. Una anello imbastito di opinioni e sentire comune, impastato dagli stessi bisogni e dalle stesse difficoltà del vivere quotidiano. Pendolarismo, trasporti e viabilità, ambiente e territorio, disoccupazione ed emarginazione, immigrazione e sicurezza. Quattro milioni di abitanti che condividono le stesse ansie e le stesse frustrazioni.

Ragionando in questi termini (metropolitani) si comprende  la peculiarità del voto capitolino nonostante la strumentale alzata di spalle di Matteo Renzi. Un voto politico di grande rilievo, soprattutto a Roma forse ancor più che a Milano, perché qui, a Roma, come in tutte le grandi capitali del modo, si giocano le partite decisive. Nelle grandi aree urbane dove si concentra il 40% della popolazione mondiale. Chi avrebbe mai immaginato un pakistano, e per giunta laburista, sindaco di Londra o una settantunenne sindaca di Madrid sotto le bandiere degli Indignados di Podemos? Se questa è la posta in gioco non sorprende il liquefarsi della vecchia politica come è successo a Napoli con l’affermazione iniziale dell’ultimo sindaco arancione De Magistris. Vada come vada nella Capitale, qualcosa di concretamente reale è accaduto nel profondo, nei gangli nervosi di questa società. Questo popolo di Roma disincantato, ribelle, talora plebeo che anima le periferie, va ascoltato altrimenti avremo a che fare con tensioni sociali da far impallidire le croniche rivolte delle banlieue parigine (profezia di Romano Prodi novembre 2005 ).

Giuliano Longo

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