Atac, Pietro Spirito scoperchia la “Trasportopoli” romana

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Trasportopoli, il libro dell’ex Direttore centrale Operazioni di Atac, Pietro Spirito, arrivato in questi giorni nelle librerie squarcia il velo sul sistema di potere multiforme che ha trascinato in un baratro, forse senza ritorno, il trasporto pubblico romano. Il libro si legge tutto d’un fiato e  non è il racconto di un appartenente a quel sistema che serba rancore per esserne stato espulso.

La storia professionale di Spirito –prima e dopo l’esperienza in Atac- parla chiaro. Dopo l’uscita da Atac a novembre 20125, Spirito è diventato il Project Manager della riqualificazione dell’aera ex Italsisder di Bagnoli, affidata dal governo a Invitalia. Nei prossimi giorni si insedierà nel suo nuovo ruolo di Presidente dell’Autorità Portuale di Napoli, affidatogli dal Ministtro delle Infrastrutture e Trasporti, Graziano Del Rio.  A ventiquattro anni era già a capo dell’ufficio studi dell’Istituto Tagliacarne dell’Unioncamere, poi una carriera brillantissima nella galassia delle Ferrovie dello Strato. Dopo una breve passaggio come Direttore Generale della Fondazione Telethon, il manager di Maddaloni approda all’azienda di via Prenestina nel 2011 chiamato dall’ex AD Maurizio Basile, a svolgere il ruolo di Direttore Centrale Operazioni. In Atac Spirito è soprattutto il dirigente che aveva tentato di intervenire –in parte con successo- sugli sprechi clientelari già durante il mandato di Alemanno, razionalizzando tutta una serie di spese, che avevano portato risparmi per milioni di euro.

Chi frequentava il Campidoglio in quel periodo ricorda che Spirito avrebbe predisposto anche un corposo dossier riservato su tutte le interferenze della politica negli appalti aziendali, finito poi senza successo sulla scrivania di Alemanno. Vero o falso che sia, dopo le dimissioni di Carlo Tosti, ci fu una vera e propria levata di scudi bipartisan davanti all’ipotesi che circolava in Campidoglio dopo il rifiuto all’incarico da parte di Albino Ruberti, AD di Zetema, di promuovere Spirito ad amministratore delegato, originata proprio dalla sua propensione a rifiutare il compromesso con chi usava Atac come un bancomat politico. L’allergia della politica all’intransigenza (che dovrebbe essere la norma) a certi compromessi di Spirito emerge già dalle prime pagine del libro, dove l’autore racconta l’aneddoto del blitz effettuato nella sua stanza in Atac da Fabio Ulissi, podologo che i rumors del Campidoglio descrivevano come un fedelissimo di Riccardo Pacifici, ex presidente della Comunità Ebraica di Roma. Ulissi, che aveva ottenuto dal sindaco Alemanno la delega ai rapporti con le imprese, entrò nella stanza di Spirito e senza nemmeno presentarsi, lo invitò ad assumere un atteggiamento più comprensivo e benevolente con i fornitori, spaventati dai tagli alle spese (52 milioni di risparmi solo nel 2011) operati dal manager.

Nel 2013 Ulissi, nel frattempo diventato vice presidente della Roma Capitale Investment Foundation, risulterà coinvolto nella vicenda giudiziaria della campagna di telemarketing per le elezioni regionali del 2010, per la quale è stato poi rinviato a giudizio insiemeall’ex sindaco Alemanno e ad altre sei persone. Secondo l’accusa, un giro di false fatture sarebbe servito a finanziare il telemarketing, funzionale a recuperare il consenso perso dalla candidata del centrodestra alla Regione Lazio, Renata Polverini (la cui posizione è stata archiviata su richiesta della Procura) dopo la mancata presentazione della lista del PDL a Roma per il pasticcio delle firme. Un aneddoto che rappresenta chiaramente perché per avere un libro che spiega il sistema si sia dovuto attendere il passaggio al suo interno di un professionista estraneo ad esso.

François de Quengo de Tonquédec

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