Ignazio Marino racconta la sua versione sulle origini del buco di bilancio della capitale d’Italia in un’intervista concessa a Presadiretta nell’inchiesta “Il sacco di Roma” in onda domani su Rai3 alle 21,15. E spiega che nel 2014 verificò tutte le voci per ridurre le spese di 450 milioni di euro nel primo e anche ultimo bilancio riuscì a portare in Aula Giulio Cesare.
E aggiunge «il mio mandato è terminato con diciannove consiglieri del Partito democratico e sette consiglieri di altri partiti, alcuni eletti con le liste dell’estrema destra, che vanno da un notaio e fermano quel percorso. Immagino che un percorso di risanamento economico finanziario così severo e determinato non piacesse.» Poi spiega come in pochi anni Gianni Alemanno abbia poi riportato il debito di Roma ad 816 milioni. Anche sola Città Eterna «è stata costruita dalla seconda guerra mondiale ad oggi sul debito, spendendo soldi che spesso non esistevano.» Tanto che al termine delle amministrazioni di Francesco Rutelli e di Walter Veltroni il debito di Roma era arrivato alla cifra mostruosa 22,4 miliardi di euro. «A quel punto -prosegue- nessun sindaco avrebbe potuto governare la città e i suoi conti avrebbero dovuto essere commissariati.» Così Berlusconi e Tremonti ai tempi di Alemanno «scrivono una legge che scarica il debito storico di Roma su tutti gli italiani» per decenni, aggiungiamo noi. Alla domanda se non creda di aver commesso degli errori, Marino risponde «mi rimprovero tre cose: certamente ho fatto degli errori di comunicazione e mi sono totalmente disinteressato, affidando totalmente ai partiti, durante la mia campagna elettorale, la scelta dei candidati al consiglio comunale. Il terzo errore e’ che ho cercato di risanare tutte le aree strategiche della città, forse avrei dovuto dire ai cittadini: guardate, noi nei primi tre anni possiamo affrontare tre questioni e le altre dovremo aspettare perchè abbiamo un disavanzo di 816 milioni di euro nelle casse del Comune e di 875 in quelle dell’azienda dei trasporti, ma questo piano per l’appunto non piaceva.» Una difesa del proprio operato, quella di Marino che irrita il presidente nazionale e commissario del Pd romano che per conto di Renzi fece fuori il Marziano. Soprattutto oggi che fra le fila del suo partito molti cominciano a credere che Ignazio non fosse poi così male a fronte dell’evidente disastro della Raggi.
Così, sempre nel corso della stessa trasmissione l’accigliato Orfini replica «oggi paghiamo il fatto che a Roma c’era un Partito Democratico malato e in parte marcio e che quel partito malato e marcio non era stato in grado di costruire un progetto per la città e che quindi si era ritrovato un sindaco che non aveva un’idea della città, non aveva un progetto e non era in grado di fare il sindaco.» E sulle responsabilità delle amministrazioni di centrosinistra sul debito di Roma richiamate da Marino, il presidente del Pd replica che «quelle amministrazioni di centrosinistra hanno cambiato in meglio questa città.» Mentre «i debiti sono stati fatti anche dopo, da altre amministrazioni e da altre giunte.» Pensierino criptico perché dopo e Rutelli Veltroni ci furono solo Alemanno, Marino e oggi Virginia. Non solo, ma il Pd deve essere marcito subito dopo la sconfitta di Veltroni nell’aprile del 2008 in preda ad un processo di decomposizione fulminante che allora nemmeno Orfini, pupillo di D’Alema, aveva subdorato.
A proposito di Alemanno è interessante il suo commento in trasmissione su Marra. «Gli offrii di entrare al gabinetto del ministero dell’Agricoltura come assistente e quando poi arrivai in Campidoglio mi chiese di tornare a lavorare vicino a me. Gli affidai il Dipartimento delle Politiche abitative, ma era diventata una persona ingestibile e pretendeva di entrare nel gabinetto. Dopo un anno della nostra amministrazione, se ne andò prima in Rai e poi alla Regione Lazio con la Polverini.» Ma Alemanno ammette di aver avuto contatti con lui anche quando era nella squadra della sindaca Raggi.
«Quando vedevo che veniva utilizzato per creare un collegamento tra la destra e l’amministrazione Raggi, io l’ho chiamato e gli ho detto: se vuoi faccio una dichiarazione in cui dico che tu non c’entri niente con noi, come poi ho fatto.» Che non c’entrasse con loro, quelli della destra, bisognerebbe chiederlo ai camerati che l’hanno conosciuto allora. Ma il bello è che queste affermazioni cozzano con quelle rilasciate da Gianni in una intervista al Tempo del settembre dello scorso anno. Allora affermò «Con Marra non ho più rapporti dal 2010, salvo qualche telefonata di auguri per le feste. Ma non posso accettare l’idea che un funzionario pubblico sia marchiato a vita solo perché ha collaborato per un periodo con me». Prima bugia. La seconda riguarda il giudizio su Marra attualmente in galera perché allora Alemanno affermava di non condividere «il suo atteggiamento un po’ giacobino con cui affrontava molti problemi. Lui non si è sentito valorizzato ed è andato a lavorare presso altre amministrazioni». Due belle versioni contrastanti e buone a secondo della stagione politica perché fra “ingestibile” e “giacobino” ce ne passa, mentre era fresco fresco di colloqui con il suo ex collaboratore, altro che interruzione dei rapporti dal 2010!