di GIULIANO LONGO
A Roma c’è un complotto per far vincere il MoVimento 5 Stelle. A dirlo non era il piddino Roberto Giachetti nel lontano febbraio dello scorso anno nel pieno della campagna elettorale, ma Paola Taverna, senatrice dello stesso MoVimento. «Al governo rimane Renzi, alla Regione Zingaretti che stiamo vedendo come sta operando, a livello economico Roma dipende da stanziamenti regionali e stanziamenti statali, ora vogliono metterci i Cinque Stelle, per togliergli i fondi e fargli fare brutta figura. Questo i romani lo devono capire». Al “gomblotto”, così storpiato dalla pronuncia romanesca della Taverna, irrise allora con poca eleganza lo stesso Matteo Renzi presidente del Consiglio, dopo di che la storia è andata come è andata e Virginia Raggi ha stravinto.
LA GUERRA INTERNA TRA LE FAZIONI GRILLINE
Eppure un “gomblotto” ci sarebbe stato davvero, ma non del tipo paventato dalla battagliera senatrice, semmai tutto interno alle fazioni grilline. Questa volta non ce lo rivela il solito retroscena della stampa generalmente ostile a Virginia, ma addirittura un’intervista fatta al presidente del Consiglio capitolino Marcello De Vito. Lui, che non è certo l’ultima ruota della carro 5 Stelle, avrebbe detto al Messaggero che «se non ci fosse stata quella carognata del finto dossier contro di me, il candidato sindaco non sarebbe stata Virginia, ma io».
IL DOSSIER SU MARCELLO DE VITO
Succedeva infatti che poco prima delle cosiddette “comunarie”, verace istituzione democratica dei 5 Stelle che con qualche centinaio di click online designano il candidato sindaco, circolasse un dossierino di anonima fattura che indicava un anomalo accesso agli atti che Marcello avrebbe fatto (in qualità di consigliere) per una concessione edilizia. Atto più che normale, come si è poi appurato, ma che è bastato a suscitare la reazione rabbiosa dei talebani della presunta purezza grillina che circondavano Virginia in corsa per la candidatura.
I BOCCONI AMARI DI DE VITO
De Vito, azzoppato, perde la corsa, ma oggi si sfoga e dice al Messaggero che si è ritirato «solo per il bene del M5s, mi sono comportato da vero militante, non ho voluto fare casini in giro, in questo anno sono stato molto zen, ma lo so solo io cosa significa, quanti bocconi ho dovuto mandar giù». E aggiunge «ci vuole la mia pazienza per sopportare un anno così».
LE ATTENZIONI DEI “QUATTRO AMICI AL BAR”
A questo punto è lecito sospettare che il protégé della onorevole Lombardi (acerrima nemica di Virginia) sia stato oggetto delle attenzioni dei “quattro amici al bar”. Solido gruppo amicale comprendente l’ex impiegato comunale Romeo (dimissionato da segretario politico della sindaca), il dimissionato vice sindaco e oggi assessore allo sport Frongia, il detenuto ex capo del personale Raffaele Marra, e la stessa Virginia. Potevano i solerti “quattro amici” essere all’oscuro della manovra che avrebbe penalizzato Marcello? Che fossero informati lo si potrebbe evincere anche dalle stesse dichiarazioni di Marra che si attribuì il titolo di “spermatozoo che aveva fecondato il Movimento” suscitando le ire della Lombardi che lo definì invece un virus infettante.
LA SEGNALAZIONE DI UN SOLERTE FUNZIONARIO
Insomma, lo spermatozoo aveva cominciato a fecondare ancor prima della campagna elettorale. La polpetta di quell’accesso agli atti fu segnalata da qualche “solerte” funzionario interno al Comune che poteva aver rapporti sia con Romeo che con Marra. Entrambi legati da affettuosa amicizia e comunque entrambi funzionari capitolini, il primo alle municipalizzate il secondo in aspettativa dopo esse stato allontanato con Marino da incarichi strategici.
LE SMENTITE DI RAGGI E DE VITO
Attraverso la propria pagina Facebook, tuttavia, poche ore fa Marcello De Vito si è affrettato a smentire la frase “senza quel dossier il candidato sarei stato io”. “Questa affermazione – ha scritto – non mi appartiene e la disconosco. Formulo istanza di rettifica dei virgolettati”. Intanto il legale della sindaca, Alessandro Mancori, ha etichettato il dossier contro De Vito per favorire Virginia Raggi nella candidatura M5S al Campidoglio come “fantapolitica”. E, per quanto riguarda l’interrogatorio della sindaca, indagata per abuso d’ufficio e falso, Mancori ci ha fatto sapere che “il giorno dell’interrogatorio non è ancora stato fissato”.
UN PARTITO COME GLI ALTRI
A quanto risulta dalle cronache, l’ex finanziere si avvale ancora della facoltà di non rispondere ai giudici per elaborare una linea di difesa che dovrebbe tirarlo fuori dalle sbarre. Eppure a descrivere il peso di Raffaele nelle decisioni della Raggi resta il giudizio poco lusinghiero della magistrata Raineri (per breve tempo capo di gabinetto della Raggi) nel suo memoriale presentato in Procura. Dal quale risulterebbero anche affermazioni temerarie da parte dell’ex capo del personale del tipo «se parlo qualcuno tremerà». Minaccia cui per ora non ha dato seguito, ma forse qualcuno già trema per lo sfogo del De Vito che più esplicito di così non poteva essere. La morale di questa storiaccia dossierara è che nel MoVimento allignano da sempre feroci lotte di potere, né più né meno come in tutti gli altri partiti. E quanto alla trasparenza, ma ci facciano il piacere…