Si va delineando chiaramente la linea difensiva di Salvatore Buzzi al vertice di quelle cooperative sociali, un tempo definite rosse, che vivevano della surroga per servizi commissionati prevalentemente dal Comune di Roma e dalle sue partecipate. Nella sostanza Buzzi punta il dito contro la politica collettore di quel sistema che secondo l’accusa, oltre a essere corruttivo presentava aspetti mafiosi e intimidatori rappresentati dalla presenza nel sodalizio del ‘nero’ Carminati. Per chiarire la sua posizione di vittima di questo sistema, il capo delle cooperative sociali questa mattina ha proseguito la sua deposizione presso l’aula bunker di Rebibbia dove si sta svolgendo il processo per mafia capitale, rispondendo alle domande del suo difensore. «Un imprenditore che vuole lavorare non può denunciare la politica – ha detto – (perché) se denunci la politica, come sto facendo io, vai in pensione». In videoconferenza dal penitenziario di Tolmezzo, spiega ancora «sto facendo un percorso di vita di rottura radicale, me ne frego di tutti questi, sto rompendo tutti i miei ponti alle spalle».
Ma parla anche dei contrasti tra la cooperativa 29 giugno, di cui era presidente, e la giunta di Gianni Alemanno. «Non lavoravamo più – ha spiegato – perché venivamo dalla sinistra» quindi «non è che denunci Panzironi (ex ad di Ama dell’epoca Alemanno ndr) e poi lavori con la sinistra, perché pure loro dicono che non sei più credibile, e non lavori più. Ora parlo, perché non mi frega più niente, ma all’epoca non me la sentii».
Tornando, invece, ai contributi a suo dire assegnati all’esponente Pd ed eurodeputato Goffredo Bettini, Buzzi ha insistito spiegando che «fra contributi all’associazione e pagamenti di cene, posso confermare che a Bettini abbiamo dato 24700 euro (ieri aveva parlato di 21mila, ndr). So che ha definito falsità le mie affermazioni, ma sono sicuro di quello che dico». Ieri subito dopo la deposizione di Salvatore Buzzi che lo tirava in ballo, Bettini aveva fatto pervenire un comunicato nel quale si precisava «prendo atto che Buzzi è tornato su episodi da me ampiamente spiegati qualche mese fa in aula del Tribunale, in qualità di testimone, dicendo inaccettabili falsità; secondo una strategia difensiva che sembra voler colpire quelli che egli stesso definisce i suoi avversari e non i suoi amici. Ho dato incarico ai miei legali di sporgere querela» affermazione che potrebbe indicare fra gli amici di Buzzi quella parte del Pd che avversava Bettini.
Sempre ieri i giudici hanno richiesto il materiale video nel quale Carminati appariva con il braccio teso nel saluto fascista che così viene spiegato dal suo difensore Giosuè Bruno Naso a Radio Cusano Campus: «Bisognerebbe chiedersi perché tutta questa attenzione, come mai questa attenzione quando ci stiamo avviando verso la conclusione del processo. Sta rendendo le sue dichiarazioni Salvatore Buzzi, alla fine del mese, per la prima volta nella sua storia processuale, anche Massimo Carminati si sottoporrà ad esame e poi dopo Pasqua comincerà la discussione, per cui una sentenza è ragionevolmente prevedibile per prima dell’estate». E allora, prosegue l’avvocato di Carminati «guarda un pò, determinate fonti giornalistiche normalmente sensibili o comunque in sintonia alle indicazioni che provengono dalla Procura, notano il gesto di Carminati, che è un gesto ovviamente di saluto e di esultanza all’amico Brugia, che a sua volta, prima di lui, lo aveva salutato». E aggiunge: «Il fatto che approfittino di un momento finale per mandarsi un segno di saluto non significa assolutamente nulla» soprattutto, aggiungiamo noi, se il saluto romano è consuetudine fra i camerati. Poi Naso aggiunge ironicamente «se dopo tutto questo can can a carico di Carminati residuasse una contestazione di apologia di fascismo, vorrebbe dire che veramente di più e di meglio non sono stati in grado di mettere insieme in questi due anni di dibattimento».
Senza spezzare alcuna lancia in favore di nessuno, non ci pare proprio che almeno negli ultimi dieci anni a Roma l’apologia di fascismo venga granché punita. A partire da quelle braccia tese e di quei cori parafascisti sotto il Campidoglio subito dopo la vittoria di Alemanno nell’aprile del 2008.
Giuliano Longo