Allora sembra proprio che il pentastellato Paolo Pace dimissionario presidente dell’VIII municipio, comprendente la Garbatella storico baluardo di una sinistra perduta, abbia deciso di non ritirare le sue dimissioni dalla presidenza di quel municipio che porteranno dritto dritto alle elezioni probabilmente insieme ad Ostia. A meno che, ma tutto è possibile in casa grillino, lui non abbia garanzie dalla sua maggioranza tutta pentastellata. Perché Pace non vuole «fare il pupazzo di nessuno e non voglio fare il Presidente che firma ciò che decidono altri, prendendosi la responsabilità di ciò che non condivido.»
Così parlò Pace a una locale televisione privata. «E’ vero che noi come movimento dobbiamo condividere tutto, certo – ha aggiunto – ma siccome davanti alle scelte che devo fare ne rispondo io civilmente, allora se sono il Presidente chiedo di potermi assumere responsabilità dirette.» Poi siccome nel Movimento sono tutte mammolette smentisce di voler fare accordi con le opposizioni (non fia mai) perché «ho sposato una causa comune al movimento quando mi sono candidato e a quella intendo restare coerente. Così come non è vero che pago divisioni tra fazioni, come leggo da ricostruzioni inventate, che mi vedrebbero opposto ai cosiddetti ‘lombardiani’. Non esiste alcuna fazione nel M5S. Esistono punti di vista diversi su questioni precise che nel nostro Municipio dobbiamo affrontare.»
In attesa di questo chiarimento non ci pare che il popolo di quel municipio abbia accolto le sue dimissioni con sgomento. Anzi tutto procede tranquillamente vista la scarsa influenza che sui residenti hanno le sorte dei municipi e non solo del suo. Nè ci pare che la sindaca Raggi attualmente in vacanza in Alto Adige a seguito di una situazione stressante che ormai vive da quasi nove mesi, abbia particolarmente sofferto delle sue dimissioni.
A Pace del quale non abbiamo ben capito con quanti click sia stato designato a quella carica, non resterebbe che fare appello al garante unico e assoluto detentore del simbolo pentastellato, Beppe Grillo. Il quale, voi direte, è in tutt’altre faccende affaccendato in vista alla presumibile convocazione dei suoi leader (Di Maio? Di Battista? Oh Signur!) da parte del presidente della Repubblica Mattarella dopo la strabiliante vittoria elettorale che, almeno dai sondaggi, si prefigura l’anno prossimo per i Cinque Stelle.
Non gli resta quindi che una feroce battaglia difensiva a botte di post su Facebook divenuta la nuova arena del confronto democratico che coinvolge masse consistenti di smanettoni web spesso disoccupati. Se poi volesse gentilmente acclarare, pur fra lo scarso interesse della pubblica opinione, i dissidi veri (i contenuti) che lo hanno portato alle dimissioni, non sarebbe nemmeno tanto male.
Anzi saremmo disponibili e lieti di poterne dare conto ai nostri lettori. Che sia ben chiaro, sono ancora in buona parte disponibili a votare Grillo anche senza accedere alla piattaforma Rousseau destinata qualche decina di migliaia di eletti ( nel senso di superiori, supremi, imperscrutabili) in tutta Italia. I quali magari decideranno ( ma abbiamo seri dubbi le semi dittatoriali prerogative di dux Beppe) la composizione del prossimo Governo Grillino.
Ultima questione. Ma fuori dal web, strumento innovativo della democrazia grillina, a Pace Paolo non è mai venuto in mente di convocare una pubblica assemblea aperta ai cittadini per spiegare le sue ragioni? Oppure è meglio che tutto passi in cavalleria aummo aummo?
Balthazar