Sono 10 le società partecipate del Comune di Roma che si salveranno secondo le linee del Piano di riorganizzazione presentato questa mattina in commissione Bilancio dall’assessore alle Partecipate Massimo Colomban.
Assistito da Paolo Simioni, digente Acea pagato dalla multiutility, che coordina il Tavolo per la riorganizzazione creato dell’assessore.
LE PARTECIPATE CHE SI SALVERANNO
Si salveranno dunque Atac, Ama, Roma servizi per la mobilità, Roma Metropolitane, Risorse per Roma, Assicurazioni di Roma e Aequa Roma, di queste i piani industriali saranno pronti entro maggio.
Probabilmente si salveranno anche Zetema «con buon risultato, ma sotto monitoraggio» e Farmacap rispetto alla quale il commissario Stefanori risponderà oggi in una conferenza stampa.
Acea seguirà la sua strada con il rinnovo del Consiglio di amministrazione, nè potrebbe essere altrimenti visto che il 49% delle quote fa capo ai privati,.
Secondo Colomban entro due anni si porteranno le partecipate «a non perdere più quattrini e se realizzeranno risparmi verranno ridotte le tariffe o verranno utilizzati per altre opere necessarie ai cittadini».
Per Fiera di Roma, «pozzo senza fondo per il bilancio capitolino», resta nel dubbio il rifinanziamento, mentre il futuro di Multiservizi si conoscerà entro la prossima settimana.
IL PROGETTO
Il progetto Colomban prevede che le altre aziende capitoline «verranno riorganizzate, accorpate o dismesse» per concentrarsi su 8 o 12 società valutando la possibilità di accorparle.
Un piano ambizioso e comunque in linea con la recente normativa nazionale, del quale ancora non sono stati diffusi i dettagli, ma che prevede anche una dieta dimagrante sulle 52 tra fondazioni e associazioni che costano all’amministrazione oltre 20 milioni di euro all’anno.
L’assessore si è poi soffermato sul dissesto finanziario della Capitale lamentando che il Patto per Roma rappresenta solo briciole.
IL RUOLO DEL GOVERNO
«Al massimo dal Governo riceviamo 100-200 milioni, mentre le risorse che sarebbero necessarie a Roma ogni anno come Capitale d’Italia, come avviene in tutte le Capitali europee, sono da 1 a 2 miliardi», mezza manovra finanziaria di quella che il ministro Padoan si appresta a sottoporre alla UE.
Ma Colomban ha anche annunciato che entro maggio verrà presentato in Assemblea capitolina il quadro della situazione sul debito, sottolineando che l’amministrazione si è trovata un ulteriore debito di 2/ 3 miliardi.
Quindi l’unica soluzione «sarebbe quella di ripartire da zero, come è giusto si faccia quando si ristruttura una società» oppure quando se ne dichiara il default e si portano i libri in tribunale.
Per salvarsi occorre «aprire un dialogo con il Governo per spostare la massa debitoria nella gestione commissariale portandola da 12 a 15 miliardi e allungando di 5 anni il periodo di rimborso, non si farebbe danno ad alcuno e Roma potrebbe ripartire».
TASSE
Insomma la classica soluzione degli insolventi che è quella di allungare il brodo sino alla prossima era glaciale e per i quale si rimborsano 500 milioni anno dei quali 200 sulle spalle dei romani con l’Irpef più alta d’Italia e gli altri a carico dello stato, ovvero la collettività nazionale.
Sembra che sulla scoperta di questo uovo di Colombo sia d’accordo anche Silvia Scozzese (commissario governativo per la gestione del debito pregresso della Capitale, ndr) alla quale, e sono parole di Colomban, «sembra logico togliere questo macigno insopportabile dalle spalle di Roma e delle partecipate».
Ma per questa ardita operazione occorre una riflessione all’interno dell’Assemblea capitolina per capire dove si vuole andare e soprattutto «convincere da una parte il Governo e dall’altra il M5S a dialogare di più».
Sempre che con le prossime politiche al Governo ci vadano i grillini, allora il debito monstre potrebbe anche svanire per incanto.
Giuliano Longo
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