Scoperta anche nel neonato, da ricercatori dell’Università Cattolica-Fondazione Policlinico A. Gemelli di Roma insieme a colleghi francesi, una seria patologia respiratoria che può essere fatale in oltre il 30% dei casi: si tratta della sindrome da distress respiratorio acuto (ARDS). La scoperta ha portato alla definizione dei criteri diagnostici in età neonatale e permetterà di fare la differenza nella gestione clinica di questi piccoli pazienti.
È l’importante risultato del Progetto internazionale “Neonatal ARDS” coordinato dal professor Peter Rimensberger (Università di Ginevra) e dal professor Daniele De Luca (Università Paris Sud), rispettivamente Presidente e Segretario dell’ESPNIC, European Society for Pediatric and Neonatal Intensive, con il contributo del professor Giorgio Conti, Direttore della Terapia Intensiva Pediatrica e dell’Istituto di Anestesiologia e Rianimazione della Fondazione Policlinico Universitario A. Gemelli – Università Cattolica del Sacro Cuore.
La ricerca è stata pubblicata sulla prestigiosa rivista The Lancet Respiratory Medicine.
“Questo studio è frutto di uno sforzo scientifico e tecnico-logistico durato oltre due anni”, spiega il professor Conti, “che si è avvalso di ripetuti incontri e ha parallelamente portato ad allargare il progetto per una seconda fase volta alla descrizione del decorso clinico, dell’epidemiologia e del follow-up dei neonati con ARDS. Per far questo, è stato lanciato uno studio prospettico multicentrico internazionale ‘web-based’ che vede la partecipazione di oltre 20 centri di terapia intensiva pediatrica o neonatale di tutto il mondo.
Il Neonatal ARDS Project aveva come primo obiettivo quello di produrre una definizione internazionale di sindrome da distress respiratorio acuto neonatale valida dalla nascita e per tutto il primo mese di vita del bambino.
La malattia
La sindrome da distress respiratorio acuto (ARDS, dall’inglese Acute respiratory distress syndrome) è caratterizzata da un’insufficienza respiratoria acuta spesso di grado estremo, che può far crollare l’ossigenazione di pazienti adulti in buona salute e spesso di età inferiore ai 50 anni a valori incompatibili con la sopravvivenza, con tassi di mortalità superiori al 30%.
Tale sindrome si è sempre ritenuto colpisse solo pazienti adulti, mentre col tempo ci si è resi conto che l’ARDS può insorgere a qualunque età della vita, anche se la sua diagnosi in età neonatale è resa più difficile dall’assenza di criteri specifici, dalla mancanza di conoscenze chiare sulla sua biologia, ma anche dalla scarsa condivisione di dati tra gli specialisti che si occupano di questa problematica nelle diverse età della vita.
L’ESPNIC, società dedicata alla cura e alla ricerca in ambito di rianimazione neonatale e pediatrica, ha lanciato nel 2014 il “Neonatal ARDS Project”, che ha visto la partecipazione di esperti europei, americani e australiani in campo di rianimazione respiratoria dell’adulto, del bambino e del neonato, al fine di analizzare i meccanismi alla base dell’ARDS e dimostrare come essi esistano anche nelle primissime età della vita.
Nel neonato non ci sono dati epidemiologici precisi giacchè mancava appunto la definizione e quindi una diagnosi precisa. Solo l’ARDS da inalazione di meconio (materiale fecale neonatale) colpisce dall’ 1 al 10% dei nati. Se mettiamo assieme le altre cause (soprattutto ARDS indotto da sepsi, cioè infezioni generalizzate del neonato) è ragionevole pensare che solo in Italia migliaia di bambini ogni anno ne siano colpiti. In un centro nascite che effettui oltre 3 mila parti all’anno, comunque, si possono osservare decine di neonati ARDS nei dodici mesi (a Parigi – centro coordinatore della ricerca – circa 20 in un anno).
Come per l’ARDS che colpisce nelle età della vita successiva alla neonatale, possono esserci predisposizioni genetiche generiche e variabili (descritti alcuni polimorfismi di proteine dell’infiammazione o del surfactant – la sostanza naturale che riveste e protegge gli alveoli) che possono predisporre all’insorgenza della malattia, ma allo stato degli studi non si riscontrano cause genetiche sensu strictu. L’ARDS è, infatti, una sindrome multifattoriale dove su un terreno di predisposizione genetica, un elemento scatenante (trigger) di varia natura innesca e fa partire il processo patologico di danneggiamento del surfactant (cioè la sostanza che riveste gli alveoli polmonari rendendoli elastici) e di infiammazione polmonare. I neonati (e i bambini) hanno “costituzionalmente” un sistema immunitario meno sviluppato ed efficace e quindi più facilmente sensibili a trigger infettivi.
Il progetto In una prima fase è consistito nell’analisi di tutte le conoscenze già disponibili allo scopo di verificare che i meccanismi biologici dell’ARDS fossero presenti anche nel neonato e in generale in ogni età della vita.
La terza parte del progetto prevede di seguire nel tempo i neonati con la malattia. Al momento sono seguiti quasi 100 neonati. Vi sono centri che partecipano in Europa, USA e Australia, e presto si aggiungerà un centro brasiliano. Sarà necessario arrivare ad almeno 250 bambini per avere un campione di analisi statisticamente significativo.
Vademecum per la diagnosi
La definizione diagnostica cui si è giunti grazie a questo studio (denominata Montreux Definition) è molto semplice perché è pensata per essere applicata al letto del paziente da clinici anche non esperti nel campo. Si basa sugli stessi parametri della definizione di ARDS dell’adulto (denominata Berlino Definition); cioè, per essere definito come affetto da ARDS il neonato deve avere un’insufficienza respiratoria acuta entro 7 giorni dalla comparsa di un fattore scatenante (trigger) per esempio una polmonite diffusa; immagini di opacità polmonare diffusa e bilaterale; deficit di ossigenazione valutato in tre categorie di severità (lieve, moderato e severo). Di contro il neonato non deve essere affetto da edema polmonare di origine cardiaca, malattia da prematurità polmonare (quando i polmoni non sono ancora ben sviluppati) o anomalie congenite che giustifichino l’insufficienza respiratoria. Dei criteri chiari per escludere queste condizioni sono forniti nella definizione assieme a un set di radiografie per guidare il clinico nella diagnosi.
“La disponibilità della definizione di Montreux favorirà la ricerca nel campo sia perché i pazienti sono finalmente individuati e classificati sia perché si è creato un network di centri che se ne occupano”, concludono De Luca e Conti; “ci sono quindi tutti i presupposti per giungere a trattamenti più efficaci per la gestione della crisi respiratoria nel neonato e anche per una cura definitiva della sindrome”.