Senza coppola e lupara, Carminati e Buzzi condannati per corruzione

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«Può bastare Carminati per certificare che la Capitale d’Italia è la nuova Corleone?» scriveva tempo fa sul Foglio di Cerasa/Ferrara il noto conduttore della rassegna stampa di Radio Radicale, Massimo Bordin. Evidentemente alla X Sezione penale del Tribunale di Roma, che pure ha emanato condanne pesanti, non è bastato.

Questo non significa che ’ndrangheta, mafia siciliana e camorra non esistano nella Capitale e investano i profitti derivanti dalla droga e altre attività criminose in numerose attività. Ne siano prova i recenti sequestri milionari di beni, immobili e locali che negli ultimi mesi hanno contraddistinto l’azione di contrasto della Procura e delle forze dell’ordine.

Al sodalizio Buzzi/Carminati, secondo la Corte, manca tuttavia quell’elemento gravemente intimidatorio e violento che caratterizza l’azione della mafia tradizionalmente intesa. Mancano probabilmente quella rete di connivenze e quelle catene di comando che gestiscono gli enormi profitti delle mafie anche a livello internazionale.

Se poi vogliamo parlare invece di corruzione è innegabile quel sistema corruttivo che si fa forte della politica e inquinava (inquina?) molti gangli degli apparati amministrativi capitolini. Passati dalla tradizionale mazzetta o dalla busta di insaccati nella borsa del vigile urbano come accadeva in tempi remoti, a profitti più consistenti. Soldi, appartamenti, benfits ecc elargiti da costruttori e imprenditori sveltini e senza scrupoli.

Il lucro corruttivo, per bocca degli stessi imputati intercettati dai carabinieri, passava dagli zingari ai migranti, dalla gestione del verde pubblico all’emergenza abitativa degli sfrattati sfruttando la connivenza di dipartimenti e direzioni del Comune.

Novanta milioni di appalti o giù di lì che non sarà poco, ma un briciolo a fronte dei veri affari delle mafie. Novanta milioni che tuttavia hanno giustificato un apparato di indagine monstre (come si addice quando si affronta la mafia.)

Certo, Carminati portava con sè un bel pedigree criminale (oltre che ai sui indiscussi precedenti fascisti) ma anche un giro di personaggi già pregiudicati per reati gravi. 

La dote del ‘comunista’ Buzzi era invece rappresentata da un sistema di relazioni politiche che si consolidò durante l’amministrazione Alemanno, senza guardare in faccia destra o sinistra, ma individuando quegli appalti che potevano essere unti o facilitati.

Da qui a dire che questo raffinato sistema ‘manageriale’ fosse roba da peracottari ce ne passa, ma, detto questo, travolgere, come vorrebbe la dott.sa Raggi, tutta una classe politica ce ne passa ancora di più, come se prima dell’avvento degli onesti grillini Roma fosse solo il covo di politici ladroni. 

D’altra parte ricordo che nel corso di una manifestazione al teatro Quirino, poco prima degli arresti del dicembre del 2014, lo stesso Pignatone mise in guardia la politica sulle sue responsabilità rispetto alla stagnazione dell’Urbe. 

«La scelta di Pignatone di parlare da quel palco – scrive ancora Bordin sul Foglio- mentre le volanti sono già in fila in garage per andare a prendere esponenti anche del partito a cui si sta rivolgendo, può essere interpretata in vari modi, nessuno dei quali però coincide con l’immagine che lo aveva preceduto a Roma» di rigoroso e schivo, aggiungiamo noi, persecutore delle mafie.

 Evidentemente era troppo tardi e il Pd, salito precipitosamente sul carro degli accusatori, ammetteva implicitamente la sua colpa (quel Pd pericoloso e cattivo individuato dalla ricerca del prof. Barca). 

Così ne uscì distrutto lasciando ampio spazio alla vittoria grillina che la città va in parte scontando, anche se probabilmente Marino sarebbe caduto comunque.

Tuttavia prima ancora di questa sentenza che per molti versi farà discutere, si alimentò quel circuito poco virtuoso (e ormai usuale) fra magistrature e media sostenuto, come emerso dal processo, da una precisa strategia di comunicazione che dava per scontata ‘mafia capitale’. 

Parola magica immediatamente adottata da tutti gli addetti ai lavori e che divenne l’inchiostro in cui intingere le penne di cronisti e commentatori. Molto più di quel ‘mondo di mezzo’ fra malavita e affari, che pure originariamente aveva titolato l’inchiesta di Pignatone sulla scorta delle chiacchierate e delle teorizzazioni di Carminati debitamente intercettate.

Può darsi che in appello le condanne vengano mitigate, al limite confermate, ma ormai l’accusa di associazione mafiosa in senso classico rimane definitivamente sepolta. 

Alla fine di questa fiera, per alcuni risultati poi innocenti devastante, rimaniamo convinti che sono i tribunali a decidere le sorti degli imputati e non i media. Amen.

Giuliano Longo

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