Contribuirono alla caduta di Alemanno. Marroni e Miccoli fuori dalle liste elettorali del Pd

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Non avevamo dubbi che Matteo Orfini, già giovane di belle speranze con D’Alema  e commissario del Pd Romano dopo le vicende del “mondo di mezzo” che sdraiarono il suo partito, non sarebbe stato tenero quando fosse arrivato il redde rationem per le liste a Camera e Senato.

Legittimo, se non fosse che del rinnovamento auspicato da Renzi, il rottamatore, in queste liste romane di rinnovamento se ne vede ben poco se non con la presenza di fedelissime new entry quali Luciano Nobili e Patrizia Prestipino. 

Che sarebbe finita così così lo si era intuito dall’andamento congressuale del partito a Roma quando Matteo Renzi superò il 62% dei consensi con l’opposizione di interna di Orlando, sostenuto da Zingaretti,  al 33% e quella di Emiliano al 4%, rimasto nel partito dopo qualche strizzata d’occhio agli scissionisti di Bersani/D’Alema.

Teoricamente quelle quote avrebbero dovuto venir rispettate da Renzi e dal suo braccio destro Orfini anche per la scelta dei candidati a Camera e Senato, mentre invece alle opposizioni è andato si e no il 10% degli eleggibili  garantendo gruppi parlamentari che mai potranno in futuro disturbare e fare brutti scherzi  al “bomba” di Rignano. 

In verità ieri pomeriggio sembrava, e le abbiamo pubblicato, che Marco Miccoli sarebbe stato candidato al Senato, ma ci sbagliavamo perché nella notte è stato escluso. Poco male, direte voi, visto che di esclusi ce ne sono stati tanti.

Lui, Miccoli, naturalmente fa il bravo soldatino e dichiara di aver accettato di buon grado la sua esclusine per far posto ad altri nella lista , ma se guardiamo alle vicende romane non è proprio così. Perché Miccoli è stato segretario del partito  sino al 2013 quando  il vento, anche a Roma, girava a favore del suo partito.

Lui, che vanta origini operaie, cominciò a rimettere in sesto la macchina organizzativa  lasciata malconcia dal rutelliano senatore Milana, peraltro compagno della Prestipino. Rilanciò le feste dell’unità a Caracalla , rimise mano al tesseramento senza prevedere che con Renzi la natura del suo partito sarebbe cambiata a scapito di una vecchia concezione, ormai superata, di socialdemocrazia.

Determinato nella battaglia contro Alemanno riusciva in qualche modo a rapportasi con il gruppo consiliare dell’aula Giulio Cesare che oggi va per conto suo senza sapere se ha o meno al partito alle spalle.

Attaccò duro sulle spartizioni bipartisan delle municipalizzate sino a quando, già onorevole, commise l’errore fatale (per lui) di sostenere con tutto il  suo circolo di Donna Olimpia, l’ex sindaco Ignazio Marino appena defenestrato, per di più criticando  Orfini per i metodi del suo commissariamento che stavano massacrando il Pd romano.

Così si qualificò come rompiballe riconosciuto della new age Reanzianorfiniana schierandosi  al congresso con Zingaretti e Orlando, ma senza tanto clamore per non ipotecare la sua ri-candidatura.

Implacabile è giunta  la punizione last minute, ma meno implacabile rispetto a quella subita da Umberto Marroni già fuori gioco da subito.

In verità Umberto pensava che essendosi schierato con la minoranza de governatore Emiliano che bene o male al congresso nazionale aveva portato casa il 10%, il seggio lo avrebbe portato a casa. A tale scopo, astutamente, al congresso romano si era schierato con Orfini.

Evidentemente non è stato sufficiente anche se Marroni vanta una lunga storia di Consigliere e Capo gruppo capitolino in Aula Giulio Cesare, dove condusse la memorabile battaglia contro l’intenzione di Alemanno (ormai in declino) di privatizzare un altro po di quote Acea.

Da qualche parte venne  ancheaccusato di trattare con Gianni e i suoi per la spartizione delle poltrone in Atac e non solo, ma alla fine della fiera era sempre il detentore di migliaia di preferenze che nel Pd romano ne facevano  un pezzo da novanta. Privilegio che non gli evitò contrasti  con gli zingarettiani fra cui lo stesso Miccoli. 

E’ comunque evidente che con l’esclusione di Marco e Umberto dalla liste si chiude un’epoca del partito romano, sempre più Orfiniano e sempre meno legato al suo passato. 

Ultimo spezzone o erede autorevole  di questa storia  Nicola Zingaretti sulla cui candidatura al governo del Lazio punta  il Pd unito, anche se il governatore include nell coalizione Liberi e Uguali di Grasso a scapito della  lista moderata della ministra alfaniana  Lorenzin. Nelle liste per le politiche qualche uomo di Nicola compare come Mario Ciarla candidato al senato, ma il piatto forte sta alla Pisana dove tutti i suoi uomini vengono confermati in blocco, più l’assessore Michele Civita che consigliere non era.  

A ben vedere , una partita un po anomale, almeno sul piano delle alleanze rispetto a quella che Renzi ha giocato a livello nazionale anche perché non basta mettere in lista qualche radicale della Bonino per cancellare il fatto che alla ri-conquista del Lazio ci si va con la sinistra unita. 

Ma questa è un’altra storia e forse ce la racconteremo dopo il 4 marzo.

Giuliano Longo

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