Si fa sempre più incerto il futuro di Atac dopo che l’autorità anticorruzione di Cantone (Anac) ha bocciato, ritenendola illegittima, la proroga al 2021 del contratto di servizio da parte del Comune all’azienda di trasporto. Lo rivela oggi il Messaggero che è giunto in possesso del documento ufficiale.
Per capire bene il peso di questa valutazione occorre riavvolgere la pellicola di un film che inizia con la decisione del concordato che ancora manca del suggello ufficiale del tribunale ma che ormai sembrava in dirittura d’arrivo.
Nel tentativo di evitare la gara europea ad evidenza pubblica prevista per i servizi pubblici nel 2019 la Raggi, astutamente, si inventa questa proroga che già era stata bocciata, dopo numerosi ricorsi, anche dalla Autorità antitrust e che anche gli uffici di Cantone giudicano illegittima.
Un parere che potrebbe pesare sulla decisione dei giudici fallimentari che a breve dovrebbero esprimersi sul concordato stesso sul quale, nonostante il parere positivo della Procura, i giudici avevano inizialmente manifestato perplessità rimandando la prima volta la poderosa documentazione al Comune.
Nella sostanza la proposta di concordato che dovrebbe ammazzare parte dei debiti e diluirne la restituzione nei decenni, viaggia sui piedi d’argilla perché anche nella successiva edizione, mancherebbe un vero e proprio piano industriale per il risanamento di una azienda in palese sfascio.
Il documento di Cantone tuttavia fissa una data precisa di un disastro che ha radici lontane ed è quella del settembre 2010 che coincide con l’esplosione dello scandalo per le assunzioni in Atac definito “parentopoli”.
È pur vero che la danza delle poltrone, concordata ai tempi di Alemanno con il Pd all’opposizione, prosegue sino ad oggi con un turbillon di pagatissimi presidenti, amministratori delegati e direttori generali che di piani industriali cartacei ne hanno prodotti una caterva senza che il Comune nero, rosso o giallo che fosse, avesse mai avuto un vero e proprio controllo su Atac, come è scritto nella relazione Anac.
Un’azienda che si trasforma in un pozzo senza fondo di risorse pubbliche alle quali, in attesa dell’eventuale rinvio a giudizio dei 25 indagati della Procura, si potrebbero aggiungere quei 320 milioni che sarebbero stati erogati illecitamente ai costruttori della metro C dalle amministrazioni Alemanno e Marino.
Va detto che con Ignazio Marino si tenta almeno di porre fine a quella sorta di consociativismo clientelare utile solo ad alimentare le greppie politiche, ma anche con lui di piani industriali veri non se ne vedono. Alla fin fine quello che conta è avere un buon rapporto con i sindacati già da allora polverizzati in mille sigle e parecchio aggressivi.
Figurarsi mettere in campo un piano che preveda lacrime e sangue, questi ti paralizzano la città!
La stessa foglia la mangiano subito i grillini, che con la Quintavalle hanno addirittura un loro sindacato, e Virginia Raggi si erge immediatamente a difesa degli 11mila e passa lavoratori.
Anche perché lei ha sgamato da subito che i 60.000 dipendenti pubblici della Capitale di voti ne portano parecchi, così si dimostra particolarmente generosa nei confronti dei dipendenti sia delle controllate che delle strutture amministrative.
Ciò non toglie che più Atac sprofonda nel caos più aumenta la conflittualità sindacale, frutto più della paura di un concordato, anticamera del fallimento, che di rivendicazioni sulle condizioni di lavoro e salariali.
E così mentre i mezzi e le officine vanno in malora gira la favola che senza il concordato Atac fallirebbe e si bloccherebbe il servizio di bus e metro. Una balla per gonzi perché anche secondo il Tribunale Civile trattandosi di un servizio pubblico essenziale, per legge sarebbe comunque garantito «fino al subentro di un altro soggetto aggiudicatario della gara».
Appunto, la gara che Virginia Raggi ed i grillini vogliono evitare perchè c’è il rischio che la vinca un terzo, magari un soggetto pubblico come le Ferrovie alla cui guida aspira la Lega. Di qui l’ideona di prorogare il contratto di servizio al 2021 che coincide, guarda caso, con la scadenza del mandato di Virginia, che è un po’ come dire ‘dopo di me il diluvio’.
È vero che se Atac fallisse chi subentrerebbe nel servizio se la prenderebbe con poco, mentre se rimane vigente il concordato qualcuno si dovrò far carico dei debiti magari con la solita bad company oppure scaricandoli sui 12 miliardi di debito già commissariati e che i romani pagheranno per decenni con l’irpef più alta d’Italia.
C’è poi sempre il miracolo e fra le 5 stelle grilline su Virginia brilla lo stellone del governo ‘amico’. Ed eccola lì, dopo aver sbeffeggiato i tavoli di Calenda, a battere cassa pimpante chiedendo al Governo almeno due miliardi e più poteri per risollevare una Capitale messa in ginocchio da buche, monnezza e bus in fiamme.
Ma c’è di più perché dalla Pisana anche Roberta Lombardi rialza la testa e rivendica al Comune oltre alla Roma Giardinetti, sulla quale l’accordo con Zingaretti è già fatto, la proprietà oltre che la gestione Atac della Roma Lido per la quale il precedente governo ha già stanziato 160 milioni.
Che, sia detto per inciso, sarebbe interessante capire come finirebbero quei soldi nel calderone del concordato come sta succedendo per il cantiere della stazione Flaminio ridotto a una voragine in pieno centro per la sospensione dei lavori.
Meno male che Di Maio c’è. Tocca solo vedere se il partito della legalità tà tà potrà farsene un baffo dei pareri di Cantone e dell’Antitrust anche se i primi segnali del governo giallo/verde denotano una certa insofferenza alle regole UE.
Giuliano Longo