“La sensazione di allora è che quell’inchiesta sulla morte di Stefano Cucchi fosse monca, non esauriente. Abbiamo cercato di tradurre questo in alcuni interrogativi. Il film ‘148 Stefano-i mostri dell’inerzia’ è stato il risultato di quelle domande, anche quelle senza risposta”. Giancarlo Castelli è l’autore di quel documentario che dopo la proiezione alla Festa del cinema di Roma nel novembre del 2011 vinse anche il Premio speciale ai Nastri d’Argento. Il quel reportage, uno dei primi sulla vicenda del giovane geometra arrestato per spaccio e mancato dopo una settimana in carcere, ci sono gli atti processuali e le riflessioni dei protagonisti. Facile dire oggi che il film diretto da Maurizio Cartolano e scritto da Castelli fu il primo a chiedere se c’era qualcosa di non detto nel processo che aveva accumulato carte e deposizioni. “Ricordo una testimonianza che passò quasi inosservata – continua Castelli – Ed altri non era che un carabiniere, Pietro Schirone, uno dei due militari che si limitò a portare Stefano in tribunale dalla cella di sicurezza della caserma di Tor Sapienza e che affermò sempre la stessa cosa, sia nell’interrogatorio che in aula: quel ragazzo era stato picchiato, stava male, si vedeva, lo dovemmo sostenere per fargli salire le scale che dalla cella portavano all’uscita della caserma e poi fino all’automobile”. Dando rilievo a certe parole e facendo dei collegamenti ‘148 Stefano’ è riuscito ad avere attenzione. “Non va dimenticato che nel primo processo, tra conclusioni peritali che parlavano di ‘morte per inanizione’ cioè di fame e di sete, ed evocazioni suggestive su ‘carestie del Medioevo’ e ‘campi di concentramento di Auschwitz’, si arrivò di fatto ad una sentenza di malasanità. Con soli medici e infermieri condannati”, continua Castelli. “Stonava allora l’esclusione di tutta la fase iniziale della via crucis di Cucchi: le fasi dell’arresto, quando il ragazzo era stato per circa 12 ore nelle mani dei carabinieri che avevano condotto l’operazione. Tutti si sono sempre chiesti il motivo di quella scelta”. In contrasto c’era “l’atteggiamento dei vari ufficiali dei carabinieri, intervistati dai giornali, in cui traspariva un eccesso di sicurezza. Allora bisogna dare merito a Schirone che solo contro tutti, fregandosene dello ‘spirito di corpo’ seppe dire la verità che solo oggi, dopo nove anni dai fatti, trova i primi importanti riscontri nella svolta processuale segnata dalla confessione di Tedesco. Schirone è forse l’unico vero eroe tra tanti uomini delle istituzioni a cui sarebbe opportuno almeno stringere la mano”.
Home Cronaca Cronaca di Roma Cucchi, autore reportage: prima inchiesta monca, un carabiniere disse verità