Referendum trasporto pubblico, Alessandro Capriccioli: «La Raggi parla di “privatizzazione” per affossare la consultazione»

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Alessandro Capriccioli
Alessandro Capriccioli

L’11 novembre si vota per il referendum consultivo sulla liberalizzazione dei trasporti pubblici a Roma. Il primo referendum cittadino promosso dai Radicali Roma rappresentati dal deputato Riccardo Magi e dal consigliere regionale Alessandro Capriccioli entrambe eletti nella tornata elettorale del 4 marzo scorso.

Un iter complicato e osteggiato, questo del referendum, che ha inizio nella primavera del 2017 per la raccolta di 30.000 pari all’1% popolazione residente come prevede il regolamento che è costato, come ci spiega Capriccioli, 50mila euro interamente raccolto fra i 33mila cittadini che che hanno firmato a una media, anche in agosto, di mille firme al giorno.

Dicevamo di un iter complicato perché Virginia Raggi doveva decidere la convocazione del referendum entro 3 mesi dal deposito delle firme. Prima data prevista il 3 giugno, lo stesso giorno nel quale fu cambiato lo statuto di Roma capitale, ma che coincideva anche con le elezioni per i municipi terzo e ottavo. Così la data viene spostata all’11 novembre fissando un quorum che il comune ritiene del 33% anche se Capriccioli è convinto che ciò che conta “politicamente” è l’affluenza dei cittadini che in molti stanno osteggiando.

Liberalizzazione o privatizzazione? Sull’equivoco di questi due termini si sta giocando la partita perché, ci spiega sempre Capriccioli «fra quelli che parlano di privatizzazione tout court c’è chi non ha capito il senso di questa consultazione, e chi come la sindaca Raggi, parla di “privatizzazione”  per affossare la consultazione. Privatizzazione Atac, prosegue Capriccioli significherebbe semplicemente venderla ai privati, atto illegale perché la vendita non significa affidamento del servizio, che peraltro la sindaca ha prorogato ad Atac sino al 2020».

Privatizzazione del servizio ignificherebbe che il Comune di trasporto non se ne occupa più e deciderebbero tutto i privati. «Una follia perché loro coprirebbero le zone più redditizie. Noi invece per liberalizzazione intendiamo tutelare il servizio pubblico, perché è il Comune decide su dove far passare le linee, la loro frequenza e il costo biglietto, ma mettendo a gara il servizio non continuerebbe ad occuparsi un’azienda tecnicamente fallita come dimosta il concordato».

D’altra parte, spiega ancora Capriccioli «la liberalizzazione e la relativa gara per i servizi pubblici è prevista dalle direttive europee». Certo, affidare il servizio in house a una società di proprietà del Comune è possibile, «ma solo sulla base di una relazione che dimostri palesemente che questa scelta è più economica ed efficiente, ma se non ti confronti con altre offerte come fai a stabilirlo?». 

Il referendum tuttavia viene fatto in costanza di un concordato, ma l’esponente dei Radicali Roma intanto osserva  che il concordato «qualunque azienda normale non l’avrebbe mai ottenuto, ma che è stato concesso perché il tribunale da solo non si assumeva la responsabilità di far cascare Atac e quello che rappresenta». Tuttavia oggi «si va così creando una distorsione mentale fra gli avversari del referendum secondo la quale Atac e servizio pubblico sono sinonimi. Infatti dicono: risolviamo il problema risanando Atac, anche se  ai cittadini del risanamento della società importa ben poco a fronte di un servizio che non funziona, un servizio destinato a funzionare sempre meno visto che le risorse disponibili dovranno venir impiegate anche per sanare i debiti della società».

Certamente questo concordato in essere per decenni a venire, pone il problema della compatibiltà di questo referendum consultivo. Intanto va detto che i promotori del referendum ammettono che il disastro Atac non è diretta responsabilità di questa amministrazione che si carica una situazione  ma risale nel tempo, ma proprio per questo il referendum va fatto. Perché «già oggi un’azienda tecnicamente fallita costa annualmente ai cittadini 170 euro a testa anche per coloro che non usufruisco del servizio pubblico e usano il mezzo privato. Onere che comunque resterebbe ma con il vantaggio che il vincitore della gara investirà risorse notevoli per il miglioramento del servizio alleviando  i costi del trasporto privato e del traffico per una città dove 8 cittadini su 10 usano la macchina, contrariamente alla media europea». 

Fra le obiezioni al referendum c’è quella che a Roma una sorta di liberalizzazione/privatizzazione già esiste con la concessione  delle linee periferiche a Roma Tpl. «Una grande mistificazione – prosegue Capriccioli – perché di fatto questa concessione si adegua ai pessimi standard di Atac e vive delle rimesse della società pubblica senza le quali non paga gli stipendi. Altra cosa è un bando cui partecipino diversi soggetti, meglio ancora se pubblici. Quello che conta è che il contratto di servizio non venga disatteso salvo pesanti penali, mentre oggi Atac il contratto di servizio lo disattende regolarmente e senza penali perché tanto è sempre il comune a pagare». 

Resta il fatto che quasi tutte le forze politiche, eccetto un pezzo minoritario del Pd, sono contrarie al referendum per il semplice motivo, secondo i radicali Roma che Atac «è sempre stata per tutti un bacino di voti enorme. Una sorta di società “privatizzata” dagli interessi dei partiti. Tempo fa la sindaca Raggi e l’assessora Meleo dicevano che il referendum era inutile perché tanto lo avevano già fatto votando i 5 stelle che vogliono Atac pubblica. Adesso dopo il successo della raccolta delle firme stanno facendo in modo che i cittadini non sappiano che il referendum c’è. E questa disinformazione ci preoccupa perché intende far fallire la consultazione».

In una città vasta come Roma è difficile spiegare il senso della consultazione, toccherebbe inviare una semplice lettera che spieghi i quesiti proposti come succede in gran parte d’Europa e la Regione con l’emendamento dei radicali al collegato approvato alla Pisana metterebbe anche a disposizione i soldi per una iniziativa che non costa gran che. Si tratta rivedere se la Raggi vorrà utilizzarli in tempo utile. 

Certo ammettendo che al referendum vinca il sì, secondo Capriccioli il Comune «dovrebbe cominciare a studiare la gara, il che richiede tempo mentre il concordato va avanti. Si aprirebbe nel contempo un grande dibattito strategico sul trasporto nella Capitale e questa sarebbe una grande vittoria politica dei cittadini». Insomma soli contro tutti, fino ad un certo punto perché l’ultima rilevazione ufficiale  sul gradimento dei servizi pubblici da parte dei cittadini dimostra che monnezza e trasporti sono al livello più basso del gradimento e forse un voto sul trasporto potrebbe lanciare un segnale forte e chiaro a chi ci amministra.

Giuliano Longo

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