RICEVIAMO E PUBBLICHIAMO
Ho deciso di battermi per il ‘NO’ in questa campagna referendaria riguardante Atac perché quello proposto dai radicali è un referendum estremamente populista oltre che inutile e dannoso per l’azienda, per la città e per tutti i romani.
È populista perché anziché provare a farsi carico della complessità della gestione del trasporto pubblico locale, tenta di convincere i romani a votare ‘Sì’ facendo leva sulla disastrosa situazione dei mezzi pubblici, che non dipende da Atac.
È un referendum inutile perché i problemi che oggi fanno viaggiare malissimo Atac, che fanno andare a fuoco i mezzi e non fanno concludere le corse non si risolvono con la messa a gara. Se cambiassimo oggi gestore, passando da Atac a un’azienda francese o tedesca, tanto per fare un esempio, non sparirebbero di colpo le doppie file, il Fondo nazionale trasporti non darebbe più soldi a Roma e non aumenterebbero le corsie preferenziali. Queste sono cose che dipendono dal Comune o dalle istituzioni sovraordinate, come lo Stato o la Regione. Inoltre, non abbiamo alcuna certezza che il gestore privato presterebbe un servizio migliore e più efficiente di quello pubblico. A Roma, infatti, da anni abbiamo affidato le linee periferiche ad un privato, ma i risultati non sono migliori di quelli di Atac, tutt’altro. Gli utenti non hanno mai notato la differenza tra pubblico e privato e non se ne sono accorti neanche i promotori del ‘Sì’, che hanno fatto un volantino per denunciare le inefficienze di Atac con una foto di un bus in condizioni pietose di proprietà della società privata che gestisce quasi il 30% delle linee della capitale.
Infine, voterò ‘No’ perché questo referendum rischia di essere una catastrofe per l’azienda. Oggi Atac si trova in uno stato di concordato preventivo quindi se il servizio di trasporto dovesse andare a gara e Atac la dovesse perdere, come è più che probabile considerando le condizioni in cui versa, l’Azienda fallirebbe, i bus rimarrebbero fermi, e a pagare i debiti sarebbe il Comune di Roma, quindi tutti i cittadini romani.
Eugenio Patanè