Il gaudio della Raggi e dei sindacati con il quale è stato accolto il flop del referendum sulla liberalizzazione Atac (ovvero sulla necessità di metterla a gara per ottenere un servizio migliore) assomiglia un po’ a un Hara kiri della democrazia.
Soprattutto grazie ai 5stelle un tempo fautori della democrazia diretta che è ben altra cosa rispetto ai 60 o 100mila iscritti alla piattaforma Rousseu gestita dalla ditta (non quella di Bersani) dei privati Casaleggio&associati.
Un gaudio che butta nel cesso non solo il voto di 300mila cittadini, dei quali il 75% a favore della liberalizzazione, ma anche la possibilità di aprire una discussione seria e partecipata sulla più scassata, costosa, inefficiente azienda di trasporto pubblico in Italia.
Sin qui chissenefrega, diranno quei cittadini che, soprattutto nelle periferie, nemmeno si sono recati alle urne, molti dei quali ci hanno a maghina e a moto e godono a fasse qualche ora di traffico sulle consolari, sul raccordo e in centro magari con la radio a tutto volume per ingannare il tempo inutilmente sprecato.
Eppure i problemi del trasporto, della monnezza, degli alberi che cadono e tanto altro ancora, permangono, si aggravano o meglio si stanno aggravando (peggiorando) da almeno 10 anni.
Se ci pensate bene il gaudio per il mancato quorum non significa un apprezzamento per l’opera della Raggi e dei suoi assessori, e tanto meno per questa amministrazione e la sua elefantiaca burocrazia, ma un inno alla indifferenza di popolo, di atarassia, di rassegnata accettazione dell’esistente fra un sordo brontolio e qualche bestemmia che non scalfiscono minimamente le responsabilità attuali e passate.
L’indifferenza dilagante, che non è solo fenomeno romano, ma si alimenta del rancore, del disprezzo per le elites, per la politica e tutto ciò che vi assomiglia (vedi referendum), spesso dell’invidia, il tutto impastato au jour dui grazie a Salvini, da un senso di insicurezza e di quasi odio verso i diversi, i neri ecc.
E non venitemi a dire che i romani e gli italiani più in generale, non sono razzisti, basta girare in mezzo alla gente, prendere i mezzi, frequentare i bar e persino i centri anziani per avvertire a pelle questo disprezzo, che va ben oltre l’indifferenza e rasenta la paura.
Altro che gaudio quindi, ci sarebbe invece da fare un monumento a quei 300mila (tutti) che sono andati a votare consapevoli che in quelle urne erano stati investiti soldi pubblici e ne valeva la pena.
Fra i gaudenti, anzi la più gaudente, c’è la sindaca Raggi uscita anche da un processo con una sentenza, sia ben chiaro, che noi riteniamo giusta.
La vispa Virginia, sempre più giuliva, da 29 mesi ci fa sapere che il vento sta ancora cambiando mentre cambia a rotta di collo solo assessori. Poi vuole poteri e più soldi, ma la Lega al governo sarebbe disposta a comprare una macchia usata da questa signora?
Nota battuta per dire che mettere in mano più sodi e poteri alla Raggi è come aprire a un bambino un conto corrente milionario e utilizzabile cash.
Certo, politicamente Virginia si rafforza, allontana da sè l’insidia leghista che già guardava bramosamente alle belle forme di Roma nostra (un tempo ladrona), ma siccome si viaggia nella indifferenza anche della new age della Raggi al popolo non gliene frega niente e continuerà a brontolare punto e basta.
Se poi la stampa (la puttana) continua ad attaccarla poco male, c’è sempre il bastone di Di Maio sulle provvidenze all’editoria, che è solo un’arma di ritorsione spuntata perché a Roma si venderanno sì e no 200mila copie di quotidiani e meno di 5 milioni a livello nazionale.
Ormai rancore, invidia, disprezzo e scherno passano dai social. Il media preferito dai politici dove 5stelle e Lega primeggiano, ma che, guarda caso, per una roba seria come il referendum non ha proprio funzionato.
E la sinistra? Ah, la sinistra, scusate ci dimenticavamo… la sinistra si divide, tanto per cambiare, anche sul referendum. Ma schierarsi per il No come hanno fatto molti da quelle parti, non la assolve dalle sue responsabilità per il disastro Atac.
Giuliano Longo