di GIULIANO LONGO
Qualche lettore ricorderà gli strilli dei 5stelle e le urla dei giustizialisti manettari quando un esponente di altri partiti veniva raggiunto da un avviso di garanzia: “dimissioni, dimissioni” si vociava contro ministri, sottosegretari, deputati, dirigenti pubblici, consiglieri, amministratori uscieri e quant’altro. “@orfini:partiti devono rispettare requisiti: iniziamo a cacciare indagati e condannati?@marcello_devito @danielefrongia @EnricoStefano“, twittava allegrotta la giovane Virginia nel settembre 2015.
L’ARMA A DOPPIO TAGLIO
Poi ci si è accorti che l’uso politico delle indagini dei pm, prodighi di informazioni sugli avvisi di garanzia, erano un’arma a doppio taglio perché chi più, chi meno, prima poi ci poteva cascare chiunque. Se ne sono accorti anche i misteriosi vertici grillini che, dopo aver massacrato il Pizzarotti da Parma, hanno deciso che un avviso di garanzia non basta a motivare le dimissioni di un loro adepto, definito cripticamente “portavoce” quando ricopra un incarico pubblico. È sufficiente avvertire il sommo guru Beppe, cosa che ha prontamente fatto Virginia. La quale non si sente in dovere di avvertire subito gli elettori, ma il grande capo che tiene nelle mani i suoi destini. Come se non fosse stata eletta dar popolo de Roma, ma unta dal Santo Graal pentastellato, da una anonima “rete” o dalla misteriosa piattaforma Rousseau.
NESSUNO TOCCHI VIRGINIA RAGGI
Succede allora che le opposizioni, più o meno ancora tramortite dalle vicende di mafia capitale, si guardino bene dal chiedere le dimissioni di una sindaca in palesi ambasce e piuttosto incompetente. Decidono così di farla cuocere nel suo brodo (talora maleodorante come nel caso dei rapporti con il suo fidato consigliere Marra, oggi detenuto) nella speranza di tempi migliori e peggiori per i grillini. Nessun tocchi Virginia al punto che la capo gruppo del Pd Michela Di Biase annuncia «non chiederemo le dimissioni della sindaca Virginia Raggi per l’avviso di garanzia. Registriamo, però, che sono mesi che il primo cittadino omette di dire alla città come stanno realmente le cose.» Insomma, par dire la giovane consigliera “è una bugiarda, ma fa niente”. Come mai tanta accondiscendenza? Perché, aggiunge la Di Biase «stiamo votando il bilancio e di questo non si parla» con il rischio di lasciare nell’angosciosa ignoranza i cittadini che sguazzano nei rifiuti e inciampano nelle buche. Solo che a detta della Di Biase, la sindaca ha utilizzato una procedura di interpello per la rotazione dei dirigenti capitolini «fortemente viziata, poco trasparente e priva di legittimità» a ben vedere quasi na mezza sola. Accipicchia, se fosse vero Marco Travaglio ci avrebbe fatto non uno, ma una serie infinita di caustici commenti sul Fatto Quotidiano noto per la sua implacabile vocazione giustizialista.
Political correct anche la combattiva Giorgia Meloni che in una intervista dice «è difficile giudicare l’operato di Virginia Raggi perché non abbiamo niente da giudicare, non è stato fatto niente. Sappiamo tutto dei problemi del M5S, delle correnti, della Taverna che litiga con la Lombardi, dei collaboratori che non si sanno scegliere, ma per il resto è totale immobilismo». Però nemmeno lei ne chiede le dimissioni, anzi «abbiamo provato più volte a dare una mano, a fare delle proposte, a dire avete stravinto quindi a voi l’onore e l’onere di governare, non ci interessa mandarvi a casa, ma che proviate a governare decentemente, offriamo il nostro contributo per amore di questa città, ed è come parlare con un muro e questo mi dispiace molto». Addirittura! Giorgia le porge la mano ed è pure dispiaciuta quando i suoi Fratelli e la Destra (ricordiamolo bene) non perdevano occasione per chiedere le dimissioni di Ignazio Marino, fatto poi fuori senza tanti riguardi da Orfini e dal Pd.
O tempora o mores, il mondo sta davvero cambiando. Al punto che il grande inquisitore Antonio Di Pietro sulla “Raggi connection” fa sapere «si stanno facendo degli accertamenti, ma come al solito quando capita a una persona che è al di fuori del sistema lo si criminalizza prima del tempo, quando capita a una persona del sistema può essere pure condannata con sentenza passata in giudicato che rimane sempre una brava persona. L’ho vissuta sulla mia pelle questa cosa, solidarietà a Virginia Raggi».
LE PAURE DEI PARTITI TRADIZIONALI
Affermazioni che rendono vani gli sforzi di moralizzazione di Cantone e di molti dei sui ex colleghi pm che contro la corruzione stanno ogni giorno in trincea. Pare quasi che i partiti, quelli tradizionali, vogliano apparire corretti, costruttivi, disponibili per risolvere i problemi di Roma. Tremebondi si inchinano a quel 68% di consensi (un romano su quattro di fatto) della Raggi dimenticando che contro l’establishment di questa città tutti ‘sti voti li avrebbe presi chiunque, si fosse anche chiamato Cerchioni. Non solo, ma incassano senza una piega gli schiaffi di quello “squadrismo” politico che li massacra quotidianamente e sta facendo le fortune di un comico genovese.