Spiagge, l’avvocatura Ue boccia le proroghe automatiche delle concessioni

Un parere anticipa la sentenza della Corte di Giustizia europea

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La proroga automatica delle concessioni demaniali fino alla fine del 2020 per i balneari italiani è contro le regole stabilite dalla Unione europea. Il duro colpo agli stabilimenti balneari italiani arriva sotto forma di un parere dell’avvocatura generale dell’Unione Europea non definitivo (la Corte di Giustizia europa, in piena indipendenza, si pronuncerà più avanti con una sentenza vera e propria) ma che già definisce la sostanza della violazione italiana: è contro la direttiva Bolkestein. Si sono rivelati dunque fondati i dubbi espressi da alcuni Tribunali amministrativi regionali che si sono rivolti ai legali dell’Unione sollevando una questione pregiudiziale alla Corte Ue sulla legge italiana.

Ma questo va contro le decisioni italiane che negli ultimi sette anni (con decreti legge che partono dal 2009) per non scontentare nessuno, hanno allungato le concessioni di molti anni e bloccano un quadro nel tempo trasformatosi di fatto da legale a illegale nel contesto europeo.

Mentre si attende dunque la risposta del governo italiano e la sentenza definitiva della Corte Ue l’Italia si ritrova con un problema in più dettato da una constatazione semplice: la risorsa delle spiagge non può essere concessa come un normale servizio. Spiega infatti l’avvocatura Ue. “Le convenzioni di cui trattasi  – spiega l’avvocatura – non costituiscono ”servizi” ai sensi delle norme dell’Unione in materia di appalti pubblici ma ”servizi” ai sensi della citata direttiva, secondo la quale, allorchè – come avviene nel caso in esame – il numero di autorizzazioni disponibili sia necessariamente limitato in ragione della rarità o comunque della limitatezza delle risorse naturali, tali autorizzazioni debbono essere concesse secondo una procedura di selezione imparziale e trasparente, per una durata limitata, e non possono essere oggetto di una proroga automatica”.

Tale procedura è una gara pubblica europea che però in Italia non è mai partita perché gli intrecci tra Regioni e Comuni hanno ridotto, nel tempo, la questione delle concessioni a un mero rapporto tra politica e imprenditori. Oggi, alla vigilia di una scadenza importante come la sentenza Ue l’Italia rischia di ritrovarsi con le spalle al muro. “L’Unione Europea sta aspettando da quasi due anni che il Governo Italiano avanzi una sua seria proposta alternativa – hanno detto ieri i parlamentari a 5 stelle – Invece l’Italia non ha fatto nulla, non ha mandato a Bruxelles alcun documento propositivo. Siamo nell’Unione, e le regole dovrebbero valere per tutti. Se non ci vanno bene dovremmo fare una battaglia politica per modificarle, non escogitare escamotage per aggirarle”.

Secondo il parere degli avvocati verrebbero violati i principi di “proporzionalità” mentre l’automatismo della proroga parrebbe contrario ai principii di libertà di stabilimento e protezione della concorrenza, poichè mediante esso si sottraggono al mercato, per un periodo irragionevolmente lungo (undici anni), delle concessioni di beni sicuramente molto importanti sul piano economico”. In questo senso gli operatori del settore europei verrebbero ingiustamente discriminati in quanto non messi nelle condizioni di poter entrare nel “mercato” delle concessioni. Ora la patata bollente torna nelle mani del governo che dovrà affrontare un’altra lunga trattativa alla ricerca dell’equilibrio tra concorrenza e italica visione del mercato.