Violante: «Il voto per il sì per superare la crisi di un sistema»

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È stato presidente della commissione parlamentare Antimafia (1992-1994) ma soprattutto presidente  della Camera dei deputati dal1996-2001. Stiamo parlando di Luciano Violante, presidente emerito, ma soprattutto esponente storico del Pd e fra i maggiori esperti di cose giuridiche a sinistra. Ebbene, nonostante Violante sia contrario al termine accozzaglia usato da Renzi nei confronti dei sostenitori del NO, nonostante dichiari di essere contrario all’Italicum, la legge elettorale inizialmente voluta da Renzi e di non appartenere ad alcun comitato, Violante è un serio sostenitore del SI al prossimo referendum istituzionale.
Certo, lui è uomo della politica ‘alta’, del pieno rispetto dei valori democratici, ma anche del rispetto degli avversari che anche loro rappresentano  il sale della democrazia in un clima di populismo e antipolitica montante. Così domenica si è presentato nei nostri territori, a Genzano, accompagnato dal senatore Bruno Astorre e dalla deputata Ileana Piazzoni per difendere le ragioni del SI in una assemblea tutta Pd ma che pure ha espresso dubbi e richiesto chiarimenti. E  per l’occasione lo abbiamo intervistato dopo una sua esposizione  corredata da tanto di slides, giusto per non lasciare equivoci alla parola perché scripta manent.

Ci è venuto così spontaneo chiedergli se questa riforma costituzionale che sta suscitando tanto can can  fosse davvero necessaria  e se l’attuale costituzione non fosse più che sufficiente.

Guardi che per capire i meccanismi che hanno determinato questa costituzione, occorre fare un po’ di storia. La nostra carta costituzionale è nata da schieramenti contrapposti che diffidavano (Dc e socialcomunisti) gli uni dagli altri in un clima di incipiente guerra fredda. Allora i costituenti  decisero di non fissare regole di governabilità, ma di garantire la rappresentanza  politica nel Parlamento. Mentre la definizione del ‘quando’ e del  ‘che cosa’ sarebbe spettato alle decisioni dei partiti. Le ricordo che  nella prima stesura della costituzione la Camera durava 5 anni,  ma il Senato 6, proprio per verificare  il livello di rappresentatività delle Camere.

 Questa scelta sulla rappresentanza e non sulle regole cosa ha determinato?

Semplice, il fatto che Camera e Senato  fanno le stesse cose e quindi per restare in piedi il Governo deve avere la fiducia di entrambe, ma per farlo cadere  basta una delle due. E poi quando si tratta di approvare le leggi è un continuo andirivieni finché non si trova un accordo. Mi consenta di aggiungerle che nella Costituzione non c’è nessun indirizzo che indichi una legge elettorale che viene lasciata alla decisione dei partiti. Inoltre  secondo la filosofia che ispira questa Costituzione  le crisi di governo possono durare finchè i partiti non si mettono d’accordo.

Insomma, tutto viene messo nelle mani dei partiti…

Sì, ma è un’anomalia rispetto a tutte le democrazie europee,  Germania in testa. Eppure questa riforma viene osteggiata senza una proposta alternativa semplicemente perchè il fronte del NO è molto variegato e va da quelli che vogliono una repubblica presidenziale a quelli che vogliono la riforma perfetta e condivisa da tutti.

Eppure è un fronte che dà parecchio filo da torcere a Renzi

Certo, solo che non offrono soluzioni di stabilità di governo e poi quando si dice No è più facile coalizzare perché alla fine si evita un giudizio di merito sulla riforma.

Ma non le pare che tutta questa vicenda del Sì e del No venga drammatizzata? In fondo il sistema sino ad oggi ha funzionato.

Storicamente ha funzionato  fino ai primi anni 70 perché i partiti erano fortemente legittimati con milioni di iscritti e profondamente radicati nella società. Inoltre era differente il quadro economico internazionale e le cosiddette e ripetute ‘svalutazione competitive’ aiutavano l’Italia a uscire dalle crisi cicliche. Allora  ogni Paese era grosso modo economicamente autonomo. Ma  oggi la globalizzazione, l’integrazione dei mercati e l’unione monetaria lo impediscono. Quindi il sistema internazionale interdipendente chiede stabilità.

Non crede che sia proprio questo sistema dominato dalla finanza a creare i populismi soprattutto fra quei ceti sociali che da 10 anni pagano la crisi?

E’ vero, i populismi crescono in Europa e nel Mondo come dimostra l’esempio Trump negli Usa e le prossime elezioni in Francia ed in Germania, per non parlare dellAustria. I populismi pensano di rimettere in discussione gli assetti internazionali. Ma di qui a dire che la finanza internazionale sostiene la riforma Boschi, significa non capire che quella stessa finanza di investitori ha solo bisogno di istituzioni stabili.  E guardi che un Paese politicamente e istituzionalmente instabile è oggetto delle scorrerie di ogni tipo, certamente non dichiarate sul Wall Street Journal o sul Financial Time. Se poi vogliamo parlare del condizionamento di Maastricht si  ricordi che con l’ultimo governo Berlusconi l’Europa ci chiese di modificare la costituzione sul pareggio di bilancio il che fu fatto in quattro e quattr’otto con larghissime maggioranze e senza tante storie.

Potrebbe anche voler dire che i governi nazionali contano ben poco.

Si ricordi, e lei ha i capelli bianchi come i miei, che quando i partiti erano forti la stabilità era garantita dalla linea politica. La Dc cambiava ministri e anche primi ministri ad ogni piè sospinto, ma garantiva anche nei confronti degli alleati occidentali, la linea politica. Anzi con questa rotazione di incarichi nella Dc, limitava gli appetiti e le ambizioni personali. Poi negli anni ’80  inizia la crisi dei partiti e fiocca  l’abuso di voti segreti alle Camere che perdono peso a discapito dei Governi. Gli anni ’80 furono anche quelli della esplosione della spesa sociale per una redistribuzione del reddito sotto la spinta di una forte e conflittuale tensione nella società.

Poi arrivano gli anni novanta e il sistema va in crisi

Non solo per Tangentopoli che delegittima i partiti di governo, ma per la caduta del Muro di Berlino che non giustifica più e  lo ammise Cossiga, la Dc quale baluardo dell’Occidente. E’ appunto a cavallo fra gli anni 80 e 90 che i partiti si pongono il problema  della riforma costituzionale perché avvertono l’incepparsi della machina politica. Negli anni 80 Craxi riteneva che la questione fosse solo istituzionale, Berlinguer, invece, che fosse questione morale. Risultato del confronto è che oggi ce le troviamo tutt’e due quella istituzionale e quella morale.  Ecco perché questa riforma intende porre regole per i partiti che non funzionano più, ma  con un paese in declino dove i governi si susseguono e i partiti vengono delegittimati. Tutti ladri, tutti arraffoni.

Scusi presidente, ma vien da dire che Berlusconi nei suoi dieci anni di governo non consecutivi, una stabilità di governo l’ha pure garantita.

La novità di Berlusconi è che lui arriva e dice ” io non sono politica, ma la società “, anzi sono contro la politica  e così alimenta la frattura tuttora in corso fra società e politica. Il bello è che da dall’avvento di Berlusconi ad oggi nessuno ha difeso con fermezza se non il primato, il ruolo alto della politica. Anzi. Più la si umilia più consensi si ottengono.

Beh, non mi pare che Renzi con la su concezione della politica leaderistica si muova molto diversamente.

Guardi che la riforma non è poi così ‘leaderistica’ come dice lei. Anzi direi che che intende mettere riparo a questa situazione. Si cerca la stabilità di governo evitando un bicameralismo paralizzante. Si riducono i costi della politica del Senato e dei Consigli Regionali. La fiducia al Governo viene lasciata solo alla Camera, mentre il nuovo Senato può esprimere un parere solo su leggi costituzionali e internazionali,  ma soprattutto esprimere un parere di indirizzo sull’operato del Governo.

Si, va bene, ma i senatori non saranno più espressi dal popolo sovrano ma dai Consigli regionali.

Non è vero perché  i consiglieri regionali candidati al Senato verranno eletti già nelle elezioni regionali con due schede una delle quali indicherà la scelta di chi deve andare al nuovo Senato.

In compenso le Regioni con la riforma perderanno molte delle loro prerogative di governo.

E’ vero perché  lo Stato avoca a se le materie che possono creare disparità fra i cittadini a livello regionale, in primis la sanità dove gli squilibri fra Nord e Sud sono più evidenti. In ogni caso  le Regioni con i loro consiglieri senatori partecipano al controllo della azione di governo.  E poi si estendono, sempre parlando di prerogative democratiche, si accrescono anche le possibilità referendarie dei cittadini che possono  proporre referendum propositivi oltre che abrogativi.

Presidente, ma non la pare che per come sia stata impostata, questa campagna referendaria risulti più divisiva del del necessario?

Guardi che tutte le campagne referendarie in qualche modo sono divisive. Pensi a quella fra Monarchia e Repubblica o a quelle su divorzio e aborto. Semmai il problema è che non si può vivere continuamente in conflitti divisivi…

Certo, e nemmeno in campagne elettorali permanenti…

Ma qui sta la il ruolo della politica, nella capacità di mediare, ricucire nel rispetto degli avversari …..

Certo, sagge le parole di Violante, ma indipendentemente dall’esito referendario, l’impressione  è che populismo e antipolitica, leaderismo e asfissia dei partiti ci stiano indirizzando verso un nuovo paradigma storico. Quello della ‘comunicazione’ spettacolo  dove i contenuti, i programmi, le idee, le culture si snervano nella conquista del potere tout court.

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