Il Sì tracolla nel Lazio ma nel Pd nessuno pensa alle dimissioni

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Certo, come abbiamo recentemente scritto nel Lazio le cose referendarie non sono andate gran che bene, ma era largamente prevedibile dopo lo sfondamento dei grillini alle amministrative non solo nella Capitale, ma in alcuni importanti comuni. Se poi si volesse affermare che il 37% dei Si sarebbe tutto del Pd, risulterebbe piuttosto temerario anche se questa è la vulgata che Renzi vorrebbe far passare nel suo partito dopo la batosta subita. Sarebbe come dire che in caso di elezioni anticipate (ma quando) il Pd passerebbe dallo scarso 25% conquistato alle amministrative al 37% per chissà quale miracolo, soprattutto in provincie come Frosinone e Latina che hanno sfiorato il 70% dei No.

Se qualcuno gongola all’idea del regolamento di conti interno a quel partito, va pure detto che il commissario del Pd Orfini non dovrebbe esitare a dare le sue dimissioni dopo due batoste elettorali alle comunali e al referendum. Probabilmente il giovane turco, come venivano definiti quelli della sua indistinta corrente, si vuol giocare la partita al congresso magari piazzando un leader dei ‘Giovani Democratici’ che nel Partito, non solo romano, contano come il due di picche.

Di qui i pressanti inviti che dilagano sui social network perché Orfini si dimetta dopo che ad avviso di una parte dei pochi militanti rimasti, ha massacrato un partito già in sofferenza per Mafia Capitale. E sin qui è naturale che qualcuno, magari frustrato da mesi di obbligato silenzio, cominci a pensare ad una resa dei conti. Ma se qualcuno chiede la testa di Orfini nessuno, sino ad oggi, ha ancora chiesto quella del segretario regionale, il reatino Fabio Melilli che ha avuto il merito di mantenere in due anni un low profile che gli ha consentito di galleggiare. Qualcuno ricorderà che nel febbraio 2014 Melilli fu eletto alle primarie del Pd con il 62% dei consensi. Allora furono anche i renziani doc a cantar vittoria, perché la loro candidata, Lorenza Bonaccorsi (su Roma al 38%), nel Lazio portò a casa il  30%.

Che quelle primarie furono un segnale della crisi del Pd in regione basti ricordare il crollo dell’affluenza alle primarie che dai 120mila elettori che alle primarie elessero a segretario regionale Gasbarra crollarono a 48.700 poco più di un terzo. ll renziano Luciano Nobili, passato poi fra i fedelissimi di Orfini, parlò di una «disaffezione generale» che a Roma e nella Regione non ha subito battute di arresto in questi due anni. Eppure Orfini e Melilli (ma anche la Bonaccorsi) non hanno fatto nemmeno un plissé, un pizzichino di autocritica, convinti che il “beau geste” delle dimissioni non rientri più nell’etica di un partito che vorrebbe continuare a vivacchiare all’ombra del suo leader fiorentino, sia pure azzoppato.
Giuliano Longo

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