Il Pd romano a congresso con tanti candidati e poche idee

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Un tempo, non molto lontano, a sinistra si pensava che un congresso servisse a costruire l’alternativa di governo laddove si era in minoranza o, addirittura, si era perso il governo della città. Invece a Roma pare che la questione di una alternativa a Virginia Raggi da costruire di qui a 4 anni, passi in cavalleria e si riduca ad una competizione quasi tutta interna alla componente renziana che ha stravinto le primarie.

Certo i tempi sono cambiati, la tradizionale forma partito si è dissolta e prevalgono le sacre primarie dove stravince il loquace Renzi. Oppure si dibatte dal santo blog di Grillo o si fantastica della mitica piattaforma Rousseau governata dal poco attrattivo quanto tecnologicamente banale Casaleggio Junior. Per non parlare di una destra dove Salvini, che abbandonata la secessione fa della Lega un partito scimmiottando la perdente Le Pen e un ondivago Berlusconi, è in cerca d’autore nelle stanze del Nazzareno.

Tutti lì a chiedere il consenso del popolo, una accozzaglia di gonzi condizionabile da slogan insinceri o facilmente manipolabile sulla rete e sui media. Un popolo che poi alla fine non va a votare, ma chissenefrega quello che conta è vincere. Alla fine vincono tutti, come al solito, con i grillini soddisfatti di non essere scomparsi dai territori, il Pd che ha dovuto infiltrarsi in molte liste civiche per conquistare qualche comune, mentre il centro-destra vanta una rimonta più trainata dalla Lega che da Forza Italia (almeno al Nord) 

Insomma in questo vuoto di idee e di culture ce ne sarebbe di carne al fuoco da cuocere, soprattutto a Roma. Certo la non brillante performance di Marino, fatto fuori da Renzi e soprattutto Mafia Capitale, hanno sdraiato il Pd. Tutto vero, ma sono passati due anni. 

La risposta del Pd romano, ormai sicuro feudo del pensiero unico renziano, anziché uno scatto d’orgoglio identitario è stata il commissariamento. Di qui la chiusura di numerosi circoli, l’apparente liquidazione delle correnti brutte e cattive, un dibattito interno rattrappito e una perdita di radici sui territori. 

Infine questo congresso del Pd romano che vede in lizza ben 4 candidati. Vediamo come funziona il giochino.

Da una parte c’è Andrea Casu, già assessore nel IV municipio, voluto fortemente da Luciano Nobili, braccio destro di Orfini, poco conosciuto anche fra gli stessi militanti. Poi c’è Valeria Baglio, consigliera comunale del Pd ed ex presidente d’Aula con la giunta Marino che si è auto candidata dopo che la scelta è caduta su Casu, molto vicina all’on. Morassut che perse le primarie a sindaco con Giachetti. Staccati di qualche lunghezza Livio Ricciardelli (autocandidatosi anche lui), giovane consigliere del I Municipio, e infine Andrea Santoro, ex presidente del municipio IX, che viene dal gruppo dei firmatari del documento di Santa Chiara, formato dalla minisindaca Sabrina Alfonsi, sostenuto anche da molti della mozione Orlando ed Emiliano.

Un gioco tutto interno che appassiona ben poco l’opinione pubblica, alle prese con il degrado della città. Il tutto accompagnato da un appassionante dibattito a colpiti tweet e di post nell’illusione che le consorterie di Facebook siano ‘laggente’ vera, in carne e ossa. 

Questo significa voler tornare alla vecchia e burocratica (ma efficace) forma partito? Oppure rendere sempre più liquido il Pd sino alla dissoluzione in un mero comitato elettorale in magliette gialle? Eppure a Roma si avverte un diffuso bisogno di sinistra possibilmente unita. Fuori dai caminetti, dalle consorterie, dal pensiero unico del capo di Rignano.

Giuliano Longo 

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