Matteo Renzi chiude ai 5 Stelle, una notizia non notizia perché le posizioni di Lui, che controlla la maggioranza dei gruppi parlamentari e interpreta gli umori di quello che resta della base del Pd, erano già note da tempo.
Nel frattempo Salvini fa il pieno anche in Friuli e praticamente controlla tutto il Nord Italia.
La faccenda si complica qui da noi nel Lazio dove Nicola Zingaretti se non proprio un accordo di governo, sicuramente una tregua con la Roberta Lombardi l’ha pure raggiunta, anche con qualche mal di pancia tutto interno al MoVimento e ai pochi militanti della cosiddetta e mitica Rete.
Una tregua fondata anche su motivi di bottega perché nessuno vuole andare a ri-votare per le Regionali, compreso il centro destra che dopo la bufala della mozione di sfiducia proposta dai Fratelli d’Italia che nemmeno è arrivata in aula , si è pure astenuto in parte sull’aumento del numero commissioni consiliari da 8 a 12. Dalla serie, avanti c’è posto…
Comunque si voglia rigirare la frittata la mossa di Zingaretti verso i 5stelle ripudiati da Renzi, ha comunque un suo significato politico, sia pure relegato ad una esperienza territoriale. La quale non nuoce direttamente alle posizioni del segretario non segretario dagli imperscrutabili disegni se non quello di una opposizione del Pd che accende un cero alla Madonna per non ritornare al voto e confida nella “saggezza” del presidente della Repubblica Mattarella.
Quindi il principe, non di Machiavelli, ma di Rignano non si arrende pur avendo inanellato una sconfitta elettorale dopo l’altra anche prima di quel fatidico 4 dicembre 2016 quando vinsero i No al Referendum.
Matteo da Rignano forte della maggioranza dei suoi fedelissimi parlamentari, è convinto, e non a torto, che la corresponsabilità della debacle piddina ricada anche sui suoi oppositori interni, minoranza più depressa che rumorosa.
Una minoranza che alla fine abbozza perché nel Pd che conta (parlamentari, amministratori, nominati nei gangli vitali dello stato, delle partecipate strategiche e insomma dell’estabilishment) in fondo sono ancora tutti suoi todos caballeros .
Che c’azzecca allora questo pistolotto con Nicola Zingaretti?
Semplice, lui il Nicola, in un contesto così difficile, non solo apre ai grillini, ma il 4 maggio alla Dogana Vecchia chiama a raccolta comitati e partiti per “l’Alleanza del Fare del Lazio”.
L’obiettivo apparente è il buon governo della Regione, ma di fatto rilancia la formula politica di una sinistra unita (non solo politica) che in questa regione ha vinto.
Arzigogolare sul futuro di Nicola nel Pd è pura dietrologia anche perché le scadenze congressuali di quel partito sono lontane e di qui a qualche anno sarà passata tanta acqua politica sotto i ponti da annegarci tutti …di noia.
Diciamo allora che il governatore mette un picchetto, lancia una ipotesi di “rigenerazione” (non rifondazione che mena gramo) del Pd e non solo, come lui stessa l’ha definita.
Ragione di più per mantenere in piedi la sua giunta, sempre che qualcuno non tiri troppo la corda. E forse a Renzi conviene abbozzare considerando che il Lazio sarà una delle poche regioni che resteranno ancora in mano alla sinistra.
Giuliano Longo