Perchè continuare a parlare di Congresso del Pd? O meglio perché i media ne parlano con scetticismo? Semplice, perché un vero e proprio congresso con tanto di discussione sulla linea politica e una profonda analisi delle ragioni della debacle del 4 marzo, non ci sarà.
Infatti i militanti dei circoli parteciperanno e già i concorrenti litigano sul termine ultimo del tesseramento a un congresso virtuale scegliendo tre dei candidati in lizza. E allora vediamo da vicino questa lista in ordine alfabetico.
Francesco Boccia sponsorizzato dal governatore della Puglia Emiliano, che pur di rompere le palle al suo partito sponsorizzerebbe anche il diavolo; Dario Corallo, giovane sbucato dal nulla dai giovani democratici ma con tanta voglia di far casino; Cesare Damiano, più vicino alla Cgil di Landini che alla Camuso; Marco Minniti, che è stato presente in quasi tutti i governi di centro sinistra ed è un vero figlioccio di DAlema (almeno in termini di navigazione politica); Matteo (anche lui come Renzi e Orfini, una vera e propria stigmate) Richetti, diversamente renziano e E infine, last but not least, Nicola Zingaretti che corre da solo (con i lupi?) ormai da 3 o 4 mesi.
Magari un po troppo in anticipo rispetto alle mosse di Renzi, che lui vorrebbe a sua volta rottamare, ma che è sempre presente e attivo.
Augurandoci di non aver escluso nessuno dal rosario delle candidature torniamo al dunque.
Parlavamo di congresso virtuale perché, alla fine della fiera, le primarie di popolo, peraltro in estinzione nel numero dei partecipanti, nell’ideona “liquida” di Veltroni di un new deal tutto americano, nasceva in un clima di bipolarismo dove i cittadini simpatizzanti sceglievano il leader di partito e di governo.
Oggi invece con la nuova legge elettorale voluta fortemente da Renzi e Berlusconi per fregare i grillini, le danze sono cambiate e al più le primarie sceglieranno il leader del partito, anche perché per quello del Paese pare proprio che il Pd debba attendere almeno alcune legislature (sempre che non cambi nome o non sparisca nella peggiore delle ipotesi).
Orbene, siccome tutti i concorrenti dicono di voler superare le correnti, nel frattempo le organizzano alacremente in vista della selezione dei primi tre indicati dai circoli. Poi dovranno far appello ai baroni locali per portare il popolo alle primarie che probabilmente dovrà scegliere (questa volta in ordine di sondaggi) fra Zingaretti, Minniti e Martina, già segretario pro tempore.
Se nessuno supera il 51% si va all’assemblea dei 1.000 (come quelli di Garibaldi) delegati dove c’è il rischio che chi risulta primo venga battuto da chi risulta secondo o addirittura terzo.
E’ vero che Minniti in tutta la sua generosità di grande navigatore ha detto che sarebbe meglio che chi arriva primo si prende il cucuzzaro, lo pensa anche Zingaretti pro domo sua visto che i sondaggi lo danno primo ma al 38%.
Ma toccherebbe cambiare lo statuto del partito e di qui al 3 marzo non c’è tempo. Anche se un Bersani suicida lo fece modificare in pochi mesi per consentire a Renzi di candidarsi come leader della coalizione. Di fatto svuotando di senso i congressi dei circoli della sua ditta.
Insomma questo meccanismo apparentemente democratico delle primarie si fonda su un concetto di leaderismo e come abbiamo già detto ben poco sui contenuti.
Per intuire come si svolge la danza un primo segnale l’avremo dalle primarie del primo dicembre nel Lazio per l’elezione del segretario regionale. Qui mister preferenze, il senatore Bruno Astorre ( diversamente zingarettiano e discepolo di Franceschini) nei circoli l’ha spuntata su Claudio Mancini (giovane turco di Orfini) che su Facebook (ci pare di aver letto) minaccia di ritirarsi dalla competizione. Anche se nella sostanza sono due vecchi amiconi della nomenklatura laziale, entrambi assessori nella giunta Marrazzo.
Ovviamente le truppe cammellate di entrambe (consiglieri regionali, comunali, dipendenti delle varie aziende pubbliche soprattutto della Regione, apparati vari della lottizzazione politica) si stanno muovendo per far partecipare amici, parenti, conoscenti ecc. alle primarie, anche se il prode Astorre ha i numeri, un po meno a Roma, ma nel Lazio ce li ha.
D’altra parte Zingaretti deve stare tranquillo a casa sua, nel Lazio, e lavorare per la sua candidatura a segretario in giro per l’Italia, insidiato a Nord da Martina e al sud da Minniti ( in Toscana comandano i Renziani e forse nicola la può spuntare in Marche, Umbria e Abruzzo).
Nonostante una mozione di sfiducia proposta dal centro destra e appoggiata blandamente dai grillini, lui, Nicola, i due voti in più del gruppo misto (Cangemi e Cavallari) se li è garanatiti mesi fa con il cosiddetto ‘patto d’aula, mentre Pirozzi fa il furbo e propone che tutta l’opposizione porti le firme dal notaio come fu fatto per Marino, ma non si sa ancora se voterà o meno la mozione.
Ma torniamo al congresso che non è un congresso.
Certo, queste primarie valgono più di qualche migliaio di click grillini sulla piattaforma Rousseau di Casaleggio. Magari Zingaretti e Martina vorrebbero aprire un dialogo con i 5 stelle (anche se lo negano) mentre Minniti vorrebbe strizzare l’occhio alle manovre securitarie di Salvini.
Nel frattempo l’unica cosa certa è che tutti e tre vorrebbero rottamare il renzismo o starne alla larga come Minniti. Ma corre il dubbio che i tre concorrenti siano talmente simili che potrebbero costituire un bel triumvirato. Niente a che spartire con Mazzini, Saffi e Armellini della Repubblica Romana del 1848, che la rivoluzione la facevano sul serio.
Giuliano Longo