Renzi si è stancato del giocattolo Pd e si prepara ad affossarlo

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La bella notizia, per alcuni e brutta per altri, è che Matteo Renzi si è stancato del giocattolo Pd perché lui si deve occupare dell’Italia e non delle beghe interne fra le correnti del suo (ex?) partito.

Bella notizia per Nicola Zingaretti che con il ritiro dalla competizione di Marco Minniti si vede spianata la strada della vittoria direttamente alle primarie, brutta per quell’ossatura del partito renziano che sull’immagine di Renzi ha costruito le sue fortune e occupato posti di potere. Ossatura che, per di più, rappresenta oltre il 50% dei gruppi parlamentari usciti dalle elezioni del 4 marzo, giusto perché lui, il capo, si stava occupando del Paese come presidente del Consiglio.

Da mesi, e ben prima del suo recente girovagare per l’Europa in cerca di alleati per una nuova formazione antisovranista alle prossime elezioni Europee, erano note le sue intenzioni, tanto che non a caso Zingaretti (che non è mai stato un antirenziano viscerale) batteva da tempo il tasto di un radicale cambiamento del Pd ed una rottura con il recente passato, dominato dalla figura dell’ex presidente del Consiglio.

Vittima, lui il Renzi, di un destino cinico e baro che ben prima del referendum vedeva il Pd in costante calo di consensi nelle tornate amministrative, di cui peraltro dichiarò di non occuparsi mentre il potere e il sistema del partito anche nelle cosiddette zone rosse andava liquefacendosi. 

Insomma un vero e proprio partito “liquido” come preconizzò Veltroni alla sua fondazione. 

Per di più senza una autocritica, in verità non solo sua di Matteo, ma di tutto un gruppo dirigente che rifugge da una approfondita analisi delle sconfitte e punta al rinnovamento di nomi più che di contenuti.

Certo addossare le responsabilità al solo past leader è un giochino che finisce per far velo alla sostanza dei problemi, ma è stato proprio Renzi, con le sue finte dimissioni, il suo finto disinteresse per le cose di partito, i suoi reiterati interventi sui media, il suo sostanziale disprezzo per un Pd che vede solo come accolita di baronie e centri di potere (di cui quello di Rignano e dintorni è ovviamente esente)  non ha illuminato la discussione, ma l’ha fatta naufragare nel porto delle nebbie.

Ma il capriccioso disegno di buttare il bambino con l’acqua sporca quando ormai la tinozza è piena potrebbe arenarsi contro una realtà che, a nostro avviso, non è quella di una sinistra allo sbando (descritta dai media più attenti ai palazzi che agli umori del Paese). Anche perché in questi otto mesi è andata crescendo, per rivoli poco appariscenti, una opposizione sociale a questo Governo e alle politiche autoritarie e sovraniste di Salvini che con una corrente che percorre anche le fila dei 5stelle, è sempre più sgabello delle ambizioni del capo leghista.

Inoltre la maggioranza degli italiani non ci pensa proprio di uscire dalla Unione Europea e tanto meno dall’euro, come andavano proclamando pochi mesi fa gli esponenti del Governo giallo/verde con insipiente presupponenza. 

C’è quindi una sinistra che si va raccogliendo dal basso nelle pieghe di una società provata dalla crisi, ma che di soggetti politici, primo il Pd, avrà sempre bisogno a partire dai luoghi istituzionali dove è ancora largamente presente.

Le strategie di Renzi per il prossimo futuro non sono note, ma le sue intenzioni ormai sono chiare,  quanto allo sconforto che circolerebbe fra i suoi sostenitori, questi dovrebbero aver ben chiaro che tolti alcuni intimi, Matteo non intende imbarcarli nelle sue future avventure politiche. Rottamati!

Tanto vale, per loro, aggrapparsi al Pd di cui sono tanta parte, ma che assisterà ad una mutazione del suo gruppo dirigente e forse di comportamenti e toni politici.

Nel Lazio Zingaretti veleggia tranquillo  nonostante la sortita per una mozione di sfiducia della opposizione che, sotto sotto, avrebbe intralciato il percorso congressuale di Nicola azzoppando non solo lui, ma suoi supporters di Rango quali Franceschini e Gentiloni. Colpisci uno e ne azzoppi tre. 

Oggi la rinuncia di Minniti, più spaventato dal mancato sostegno dei renziani che del magro secondo posto che i sondaggi gli attribuivano per le primarie,  apre praterie al Governatore del Lazio  anche nel Mezzogiorno d’Italia dove l’ex ministro dell’interno avrebbe potuto mietere consensi a man bassa. Resta l’incognita Martina che vorrebbe garantire in qualche modo una continuità e una unità del Pd che di fatto Renzi in questi giorni va demolendo.

E’ quindi probabile che il 4 marzo prossimo Zingaretti la spunti, ma è solo l’inizio perché l’eventuale scissione pseudo macroniana di Renzi (che riesce sempre a scegliere il modello sbagliato fuori tempo massimo) indebolirà il Pd soprattutto in vista della formazione delle liste per il Parlamento europeo.

Alla sinistra di quel partito prosegue la (ormai ininfluente) diaspora delle sigle cui oggi si aggiunge anche quella del sindaco di Napoli De Magistris, e con la dissoluzione di LEU sarà difficile che ciascuna di  queste sigle, rigorosamente disunite e in conflitto, fra loro arrivino al 4% superando la soglia di sbarramento. 

Così come  sarà anche difficile per il Pd mantenere quel 18% di consensi attribuiti  dai sondaggi, se per la nuova (ipotetica ma non troppo)  formazione di Renzi qualche sondaggio vagheggia almeno il 12%.

La nostra impressione è invece che mentre Salvini farà l’atteso balzo in avanti e i 5stelle subiranno una moderata flessione,  tutta la cagnara a sinistra si giocherà su un 20 forse 22% di consensi da spartirsi fra eredi del tutto immeritevoli della gauche che fu….. Tanto immeritevoli che solo il 9% degli italiani presta attenzione al cosiddetto congresso del Pd contro un 80% dei media.

Meditate gente, meditate.

Giuliano Longo

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