Era il 23 Gennaio 2013 quando, dinanzi ad una partecipata assemblea nella gremitissima sala del centro congressi dell’Aran Hotel, Nicola Zingaretti, allora candidato Presidente, presentava un convincente e dettagliato programma elettorale per il futuro governo del Lazio. Uno dei punti strategici di questo programma era tutto incentrato nell’approvare i piani di assetto ancora mancanti nella Regione Lazio per poi riordinare il sistema ambientale regionale e gli Enti Parco.
Oggi a quasi tre anni di distanza da quella assemblea un solo piano di assetto è stato approvato quello di Valle dei Casali, mentre i parchi di Laurentina, Decima Malafede, Marcigliana, Valle dell’Aniene, Acquafredda, Appia Antica, Veio, Castelli Romani e Bracciano-Martignano ancora attendono la pianificazione d’assetto e della legge di riordino ambientale non vi è nessuna traccia.
Eppure in questi anni, a parole, tutti si sono dimostrati convinti della necessità e dell’urgenza di approvare definitivamente l’assetto ambientale di questo territorio pregiato ma poi alle parole non sono seguiti i fatti. Innanzitutto ne è convinta la Presidenza regionale e la Giunta tutta, ne sono convinti i Consiglieri regionali al di là del loro schieramento politico, ne è convinta la struttura amministrativa preposta ad istruire le procedure di legge, ma comunque i piani continuano a non vedere la luce rinchiusi nel buio degli archivi regionali della direzione ambiente. Perchè?
Forse ancora non è abbastanza chiaro cosa voglia dire tenere sotto ostaggio una parte fondamentale del territorio del Lazio, e conseguentemente del suo Pil, condannato da oltre 18 anni alla apatia e alla immutabilità dettata dal perdurare delle norme di salvaguardia che invero il legislatore voleva limitate alla durata di un semestre.
Forse ancora non è abbastanza chiaro che all’interno dei perimetri dei parchi e delle riserve istituite ci sono intere comunità, migliaia di residenti, centinaia di aziende che dovrebbero far fronte alla crisi economica ed alla concorrenza del mercato globale, grandi e piccole aziende agricole, economie ed investimenti fermi per il perdurare di una insostenibile situazione.
Forse ancora non è abbastanza chiaro che nel 1997 si sono istituite le riserve naturali regionali come primo fondamentale passo a cui, per permettere la marcia, avrebbe dovuto seguire l’altro fondamentale passo della valorizzazione e del corretto sviluppo del sistema ambientale regionale.
Questo non è successo ed oggi il sistema è squilibrato tanto da apparire come un sistema repressivo, nemico dello sviluppo, senza una pianificazione certa e puntuale, in balia di troppe e pericolose discrezionalità, ovvero in evoluzione verso un progressivo e inesorabile degrado.
Gli Enti parco istituiti nel 1997, che tanto avevano suscitato aspettative, sono al sesto anno di commissariamento, con un personale sempre più demotivato, che in mancanza degli strumenti di pianificazione e di sviluppo sono intenti solo al mantenimento del lato repressivo rendendo il proprio personale sul campo più simile alla figura dello sceriffo di Nottingham che a quella del Ranger Smith del Parco di Jellystone.
Eppure la cronaca di questi anni avrebbe dovuto insegnare che un territorio, in mancanza di una corretta fruizione e di un sano utilizzo, non può evitare il degrado per legge. Non a caso gran parte di questo territorio, sottoposto a vincolo per via delle sue grandi valenze storico/paesistiche, è arrivato a noi in quanto “condotto” per secoli proprio da quelle imprese agricole che oggi sono le più penalizzate dalla situazione creatasi.
Quando si decise di sottoporre a tutela migliaia di ettari nessuno immaginava che dopo 18 anni si arrivasse allo stato di abbandono odierno a meno che qualcuno non abbia pensato che il sistema fosse finalizzato ad incrementare la popolazione del cinghiale per farlo scorrazzare tra campi coltivati e vie consolari, ad impedire la dotazione di standard e servizi primari ai nuclei edilizi ricadenti all’interno dei parchi, a salvaguardare capannoni fatiscenti e funzioni improprie presenti in tutti i perimetri delle riserve fin dentro all’Appia Antica, a depauperare le economie del territorio più pregiato della Regione Lazio impedendo sviluppo e riqualificazione.
Ma forse esiste un motivo per cui i piani di assetto non vengono approvati ed è di natura culturale: una malsana e vetusta idea di conservazione di chi pensa si possa dividere l’area metropolitana di Roma, e la sua popolazione, in una parte vocata allo sviluppo ed alla modernità e in un’altra relegata al regresso urbanistico, sociale ed economico e alla arretratezza spacciata per tradizione.
Per questo, a distanza di tanti anni, siamo di nuovo costretti a costituire un nuovo coordinamento parchi che non chiede di immettere nuove tutele, già ben presenti, ma pretende il rispetto proprio di quelle tutele in essere tramite l’approvazione dei piani di assetto previsti per legge. Questo nuovo coordinamento parchi, composto da agricoltori, residenti, operatori, cittadini e associazioni territoriali, non si rassegna alla apatia di un sistema ambientale lasciato allo sbando ma rivendica sviluppo e valorizzazione di questa enorme risorsa fino ad oggi irresponsabilmente sprecata.
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