L’emergenza rifiuti di Roma costa 132 milioni l’anno

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L’economista Alessandro Marangoni sul quotidiano economico 24 Ore qualche giorno fa calcolato quanto Roma risparmierebbe se si allineasse con altre capitali che il ciclo dei rifiuti l’hanno chiuso. Senza fare paragoni con le situazioni virtuose del Nord Italia con raccolta differenziata al 50% e l’uso dei rifiuti come combustibile per riscaldare le case in impianti di teleriscaldamento, ipotizzava un costo per i romani di 132 milioni in più nonostante il contratto di sevizio da 609 milioni con con Ama. I tecnici del settore (e ci piacerebbe disvelare anche la recondita opinione in merito della contestata assessora Muraro) dicono che per Roma manca sistema di incenerimento nell’ordine delle 450-550mila tonnellate anno. Peraltro previsto nel piano nazionale e caldeggiato dal ministro dell’ambiente Poletti. Invece la politica ha le sue regole e siccome nessuno vuole il termovalorizzatore sotto casa e tanto meno la discarica in cui sversare rifiuti trattati, stanno tutti quanti abbracciati appassionatamente insieme, da Zingaretti alla Raggi. Anzi, a ben vedere la discarica di servizio la Regione la vorrebbe pure, ma la sindaca di Roma pensa invece a 32 isolette ecologiche dove conferire i materiali differenziati. L’utopia grillina dei rifiuti zero che a Roma si traduce in realtà. Se non fosse, come si dice al nord, che i danè in i danè, il soldo è il soldo e i 132 milioni stimati li cacciamo noi contribuenti per mandare nel settentrione, e prossimamente in Germania, i rifiuti che loro bruciano e trasformano in energia. Dove sta allora la salvezza dall’emergenza rifiuti romana? Il tritovagliatore di Rocca Cencia, indispensabile per l’assessore Paola Muraro, in agosto ha frullato ben poco mentre i romani partiti per le ferie hanno prodotto oltre il 33% in meno di spazzatura. Il miracolo Raggi. Una scuola di pensiero, ad esempio del colosso energetico milanese A2A, stima  che Roma potrebbe  uscire dalla schiavitù degli impianti di trattamento meccanico biologico (che producono rifiuti selezionati di qualità modesta) dotandosi di un altro inceneritore, oltre a quelli attivi di Colleferro e San Vittore. Insomma, un nuovo impianto di incenerimento e produzione di energia che smaltisca almeno 500mila tonnellate anno. Soluzione che farebbe risparmiareevitando  di esportare il “tal quale” (rifiuti non trattati) ad Aielli nella piana del Fucino, Latina e Frosinone a una media di 150 euro a tonnellata. I rifiuti organici finiscono nella zona di Pordenone a 119 euro tonnellata. Il “combustibile derivato dai rifiuti” prodotto dagli impianti Tmb va invece a bruciare a San Vittore e Colleferro  per 120 euro la tonnellata oppure negli inceneritori dell’Hera a Ravenna e  a Parona (Pavia). Situazione che dovrebbe essere ben nota, il neo nominato dg di Ama Stefano Bina che ha diretto la municipalizzata dei rifiuti a Voghera, provincia di Pavia. I rifiuti generici vengono invece tritati da gruppo di Cerroni a 143 euro la tonnellata (tariffa amministrata dalla Regione Lazio). Il 24 ore, da buon giornale liberista, ci spiega che «la domanda di smaltimento cresce con i camion che partono tutti i giorni verso mezza Italia, dal Friuli all’Abruzzo. L’offerta di impianti invece è costante: gli impianti di trattamento così si intasano, le tariffe crescono e tutti gli abitanti di mezz’Italia (da Pordenone all’Abruzzo) pagano di più. Gli operatori del settore dicono: Roma che non smaltisce e che ricicla poco “droga” il mercato». Certo che 132 milioni possono anche apparire pochi nel baratro dei bilanci capitolini, ma val la pena di osservare che il termovalorizzatore di Acerra di cui l’ex ad di Ama è stato strenuo fautore quando occupava lo stesso ruolo nella municipalizzata di Napoli, ha smaltito in tre anni 600mila tonnellate producendo energia per 592 milioni di Kilowattora. Quanti potrebbero servire per gli usi energetici di decine di migliaia di utenti. Senza essere degli esperti si può supporre che in tre quattro anni ci ripagherebbe un bruciatore nuovo di pacca ad altissima garanzia ambientale in grado anche di alleviare i costi di smaltimento.Ma di questi conti di ammortizzazione la politica spendacciona ne fa pochi perché il problema vero sono i voti. Su questa strategia industriale si era orientato il re della monnezza Cerroni che con il gassificare di Albano e la linea inattiva di Malgrotta aveva fiutato l’affare. Ma se ad Albano il progetto è stato bloccato dalla protesta delle popolazioni residenti a Malagrotta giace inutilizzato un impianto che dopo un investimento stimato di circa 400 milioni, attende ancora verifiche e decisioni sul suo possibile utilizzo. L’ottuagenario Cerroni ci spera, ma l’aria che tira dal versante della politica  non è certo favorevole. Eppure i politici passano, gli impianti restano e i problemi aumentano. Certo, la salute dei cittadini è sacra, ma non è certo salutare convivere con cumuli di immondizia e cassonetti maleodoranti rovistati da zingari e infestati da topi, che non sarà ecologicamente dannoso, ma antigienico sicuramente.

Giuliano Longo

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