Virginia Raggi vittima del binomio populismo/tecnocrazia che paralizza Roma

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Addirittura l’autorevolissimo quotidiano economico Usa, il Wall Street Journal dedica un’analisi sulla situazione del Movimento 5 Stelle e della giunta capitolina, titolando «Il partito ‘parvenu’ parte col piede sbagliato a Roma». E scrive: «quando Virginia Raggi ha vinto le elezioni comunali di Roma con un successo a valanga nel giugno scorso, il suo Movimento 5 Stelle ha avuto la sua grande occasione di mostrare che poteva essere più di un movimento di protesta» Poi cita un professore di scienze politiche della Cabot University, Franco Pavoncello che afferma: «sembra che la Raggi ed il suo partito siano stati colti con la guardia abbassata, come se non fossero pronti a vincere le elezioni e a governare Roma». Analisi che nella dilagante paranoia grillina, potrebbe ri-evocare la teoria del ‘gomblotto’ avanzata dalla pentastellata senatrice Paola Taverna prima delle elezioni.

VITTORIA A MANI BASSE

Invece il Movimento aveva una gran voglia di vincere e ha vinto a mani basse lucrando sul  discredito diffuso delle altre forze politiche coinvolte nella corruzione. Insomma, se mafia capitale ha segnato la fine di Ignazio Marino, per i grillini ha significato l’apoteosi. Passata la sbornia elettorale anche fra le fila del Movimento si fa strada più che la sensazione, la certezza che qualcosa non sta funzionando. A partire da Virginia Raggi che fa pensare ad un personaggio costruito nel laboratorio della Casaleggio&associati, anche sulla pelle di quel Movimento romano che in parte le ha mostrato da subito ostilità con la onorevole Lombardi e i suoi seguaci. Sbarcati nella stanza dei bottoni si sono accorti che quel populismo giacobino dalle mani pulite, corroborato da un ultra-giustizialismo, non serve per governare la complessità di Roma. E poi anche scaricare le responsabilità sui predecessori ormai (dopo tre mesi e passa) non frutta più sia in termini di immagine che di governabilità. Giochino cui si erano già ampiamente dedicati prima Alemanno e poi Marino con i risultati che sono sotto gli occhi di tutti. Parte allora la corsa affannosa per trovare i cosiddetti ‘tecnici’. Inizialmente connotati a sinistra, ma chiedendo aiuto anche ad ambienti della destra (quella del ‘generone’ romano) che ruota attorno agli studi Sammarco e Previti. Di qui il fiorire e appassire di magistrati contabili quali la Morgante prima e De Dominicis poi, sino alla magistrata a capo di gabinetto Raineri e al dirigente (pubblico) della Consob Minenna. Nomi tutti che dovevano dar lustro e coniugare quella miscela velenosa di populismo e tecnocrazia al posto di una classe politica incapace. Un po’ il contrario di Torino, tanto apprezzata recentemente da Grillo, dove la sindaca Appendino nasceva con un solido retroterra professionale e poteva contare su una macchina amministrativa efficiente governata da personaggi del calibro di Chiamparino e di Fassino.

IL CONTRIBUTO DI MARRA E ROMEO

Nell’attuale gap si insinuano così i praticoni, i Romeo e i Marra, che dell’amministrazione hanno pure qualche conoscenza. Il primo per essere stato un funzionario (non dirigente) del Comune, il secondo per aver assaggiato il ruolo da dirigente prima con Alemanno e poi con la Polverini per almeno 6 anni. Che non è gran che, ma per la Raggi che di enti locali poco ne capisce, è già qualcosa. Certo, nemmeno Ignazio da senatore/chirurgo ne sapeva molto, ma nonostante volesse fare di testa sua era pur sempre supportato da assessori con la testa politica e da una tecnostruttura, che per quanto elefantiaca e inefficiente, si era per lo più formata nei 16 anni di centro sinistra. Così al grido di “onestà onestà” naufraga il progetto tecnocratico/populista e comincia la nuova caccia al manager e al “competente”. Impresa ardua per chi dovrebbe rinunciare a stipendi da dirigente per  guadagnare 3.500 euro mese di emolumento assessorile, a meno che non sia pensionato. Non tutti si chiamano Minenna che rinunciò ai 120.000 annui. Succede allora che il crollo del primato della politica che doveva favorire a Roma il sogno dei 5stelle (di governo e di lotta) finisca per liquefarsi nella incompetenza e nella improvvisazione. Con una sindaca appannata persino nella immagine costruita ad usum populi: giovane madre, telegenica, grintosa, vicina ai cittadini che invece ancora sguazzano nella spazzatura e attendono i bus per ore. Ma non si illudano gli oppositori perché nessuno (eccetto Grillo, ma sarebbe una boutade devastante) intende o è in grado di far cadere la sindaca. Nemmeno i suoi nemici interni che il gusto del potere e delle poltrone lo stanno appena assaggiando.

Giuliano Longo

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