È stata pubblicata nei giorni scorsi e ripresa da alcuni organi di stampa, la sentenza di assoluzione di Maurizio Venafro, l’ex capo di gabinetto del presidente della Regione Lazio Nicola Zingaretti che era stato accusato di rivelazione del segreto d’ufficio e turbativa d’asta. La vicenda riguardava una presunta interferenza di Venafro durante l’iter formale della gara per l’affidamento del Cup. Sulla vicenda sono attualmente imputati nel maxi-processo di ‘Mafia Capitale’ Salvatore Buzzi e Massimo Carminati per un appalto di oltre 90 milioni di euro che doveva essere gestito in base a un accordo tra destra e sinistra. Oggi la sentenza sancisce che in merito alla formazione della commissione aggiudicatrice Venafro si è solo limitato a segnalare nella primavera del 2014, “senza nemmeno eccessiva insistenza”, il nominativo di Angelo Scozzafava, quale possibile componente della commissione aggiudicatrice della gara Cup, caldeggiatogli da Luca Gramazio, che era il capogruppo del Pdl (poi Forza Italia), e a ‘girarlo’ a Elisabetta Longo, all’epoca presidente della stessa commissione, nonchè responsabile della Direzione regionale centrale acquisti.
Se quella segnalazione, prosegue la sentenza, poteva effettivamente “corrispondere a considerazioni di tipo politico” è da ritenere “un elemento di per sè neutro o comunque rispondente a logiche non necessariamente illecite“. Sono queste alcune delle motivazioni che hanno spinto i giudici della seconda sezione penale del tribunale di Roma ad assolvere, il 18 luglio scorso Venafro. Si tratta quindi di una assoluzione importante anche sotto il profilo politico perché la Procura aveva sollecitato una condanna a due anni e mezzo di reclusione attribuendo all'”uomo della Regione Lazio” l’inserimento nell’estate del 2014 nella commissione della gara Cup di Scozzafava secondo un’indicazione dell’opposizione. Lo stesso Scorrazzava a sua volta veniva accusato di aver veicolato a Buzzi le decisioni della commissione stessa, le offerte degli altri concorrenti e ogni altra notizia utile per vincere l’appalto. Quella gara venne poi sospesa dalla stessa Regione Lazio a seguito dei primi arresti di ‘Mafia Capitale’ nel dicembre del 2014, mentre Venafro, dopo l’interrogatorio reso in Procura nel marzo del 2015, preferì dimettersi dall’incarico. Nelle motivazioni della sentenza, il tribunale dà atto che il ruolo di Venafro fosse quello di “tenere rapporti con tutte le forze politiche“. Ma è anche vero “che solo in quella occasione venne dato spazio alla richieste delle forze di opposizione” senza che siano stati rilevati elementi di una permanente spartizione bipartisan. Resta il fatto che Venafro, da anni fra i fedelissimi collaboratori di Zingaretti, si dimise con una lunga lettera nella quale non solo rivendicava la sua innocenza, ma si apprestava al ‘doloroso passo’ proprio in virtù di quella amicizia e per allontanare dall’amico Nicola qualsiasi illazione o speculazione politica.
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