Siamo convinti che il dibattito in corso alla Pisana sulla legge elettorale regionale peraltro già riformata da Renata Polverini, interessi ben poco ai nostri lettori. Disquisire se i candidati presidenti possano concorrere con un listino di 10 o 5 consiglieri scelti direttamente dal presidente in pectore, è questione che interessa alla classe politica regionale che vuole sopravvivere a se stessa con la riconferma o proiettata a conquistare lo scranno alla Pisana.
Quanto alla parità di genere da adottare è una via obbligata dalla legge nazionale, alla quale il Lazio arriva per ultimo, e che farà perdere la cadrega a qualche consigliere uscente.
Zingaretti si è già garantito la sua coalizione. Il vice presidente Smeriglio, longa manus di Pisapia nel Lazio lo copre alla sinistra e non è detto che alla fine convinca anche gli scissionisti di D’Alema e Besani che alle politiche andranno soli.
I 5stelle di coalizioni non hanno bisogno mentre il centro destra, dato generalmente in ripresa se unito, non ha ancora deciso il candidato e attende l’esito delle regionali siciliane.
Con l’unica variante che i Fratelli della Meloni nel Lazio e soprattutto a Roma, pesano ben più del 5% accreditato loro dai sondaggi a livello nazionale. Un problema di sostanza e di rapporti di forza nonostante i boiardi locali di Forza Italia strepitno e rivendichino il diritto di indicare loro il candidato presidente.
Quindi se Nicola e Roberta Lombardi sono già in partita a destra l’aquilone Pirozzi come quello di Pascoli, “ondeggia, pencola, urta, sbalza, risale”.
Sicuramente ieri alla sala delle Fontane all’Eur per la presentazione del suo libro “La scossa dello scarpone”, gli hanno organizzato una prova di forza con una sala zeppa, posti in piedi, di 1.500 persone. Molte delle quali vecchie conoscenze della destra nostrana, ma anche tanta gente comune non necessariamente convenuta nell’attesa del suo fatale annuncio: mi candido alle regionali.
Che ne abbia intenzione è indubbio e l’ha detto proprio in finale di partita o kermesse che fosse, lasciando intendere che si prenderà i tempi suoi e non quelli dettati dai partiti tradizionali.
In fondo tutto il suo discorso è da patriota, populista di destra temperato da buonsenso montanaro e comunque fuori dagli schemi della politica politicante che lui non disprezza. Anzi, la vorrebbe onesta e generosa come quella di molti amministratori locali che secondo lui sono il nerbo dei rapporti con i territori e il loro popolo.
Una sorta di Trump de noantri (si fa per dire) senza l’arroganza e l’aggressività del capelluto presidente Usa, ma senza le utopie del populismo grillino ormai naufragato nelle pieghe del sistema politico tradizionale, che loro ancora sostengono di avversare.
Insomma, Prozzi è un personaggio anomalo, uomo de core che certamente è balzato alla ribalta grazie ai media, ma che di suo ci ha messo molto: passione, intelligenza e concretezza.
Detto ciò per uscire dalle secche di un sistema politico che si auto alimenta, che fa e disfa clientele, carriere ed emolumenti, non è facile se non impossibile. Questo Pirozzi lo sa perché non è uno sprovveduto (come ha detto lui ieri) e sa anche che senza l’appoggio di tutto il centro destra e solo con una sua lista, rischia di portar alla Pisana qualche consigliere se gli va bene.
Ma sa anche che le percentuali che gli attribuiscono i sondaggi (superiori al 10%) rappresentano il valore aggiunto per far vincere il centro destra senza molti patemi.
Se poi optasse per un seggio parlamentare pur con una sua lista di sostegno al centro destra, come vorrebbe qualcuno, farebbe tirare un sospiro di sollievo all’amico Zingaretti che alle spalle ha un elettorato solido seppure in declino.
Quanto ai 5stelle, forti soprattutto a Roma e nella sua area metropolitana, difficilmente potranno ripetere l’exploit di Virginia Raggi.
Nei corridoi della Pisana si mormora che il centro destra potrebbe vincere anche senza Pirozzi e si attende l’esito delle elezioni siciliane oltre a quelle di Ostia che, la di là della loro rilevanza amministrativa hanno una valenza politica.
Nel frattempo non è detto che il sindaco di Amatrice (che non è uno sprovveduto, appunto) non abbia già cominciato a tessere le fila delle alleanze, mentre l’exploit di ieri dimostra che una sua squadra ce l’ha. Di certo cerca l’appoggio dei sindaci, delle categorie, dei rappresentanti dei territori e vorrebbe giocare la sua partita nelle periferie di Roma consapevole che i suoi voti li può pescare dai grillini e dall’astensionismo.
Per ora porta a casa l’appoggio incondizionato di Salvini, mentre Berlusconi gli ha spalancato le porte, anzi le videocamere e gli studi, delle sue televisioni.
Eppure Pirozzi vuole qualcosa di più: una sorta di investitura popolare preventiva dal basso che gli schivi l’accusa di aver lucrato sul terremoto. Magari un placet convinto proprio dalla sua gente di Amatrice.
Poi dovrà dimostrare di essere in grado di governare la complessità di una regione che comprende la capitale d’Italia. Che non è problema di programmi, ma capacità di ficcare il naso sui problemi veri e proporre soluzioni.
Giuliano Longo