Approvata all’unanimità la nuova legge elettorale del Lazio

Cancellato il listino e introdotta la parità di genere. Divieto di terzo mandato per il presidente. Spazio ad almeno un eletto per ogni provincia. Ineleggibili i sindaci sopra i 20 mila abitanti

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Scompare il listino. Introdotte la parità di genere e la garanzia di almeno un consigliere regionale per ogni provincia. Istituito il divieto del terzo mandato consecutivo per il presidente della Regione. Elezioni entro tre mesi in caso di scioglimento anticipato del Consiglio. Ampliati i casi di esenzione dall’obbligo di raccogliere le firme per la presentazione delle liste elettorali. Sancita l’ineleggibilità dei sindaci dei comuni con più di 20 mila abitanti. Sono queste alcune delle novità introdotte dal Consiglio regionale con l’approvazione all’unanimità (44 voti a favore su 44 votanti) della proposta n. 372 di riforma della legge elettorale del Lazio. Dichiarazioni di voto a favore da parte di tutti i gruppi, sebbene con alcuni distinguo, e in gran parte manifestando soddisfazione per l’avvenuta abolizione del listino.
La principale innovazione è infatti questa: è stata cancellata dalla legge la lista di 10 consiglieri collegati al presidente vincitore che entravano alla Pisana senza aver bisogno di preferenze. L’80 per cento dei seggi continuerà, comunque, a essere assegnato con metodo proporzionale, il restante 20 per cento sarà attribuito, come premio, direttamente alle liste circoscrizionali che sostengono il presidente e non più, come accaduto fino a oggi, attraverso il “listino”. Gino De Paolis (Insieme per il Lazio) a questo proposito ha voluto spendere delle parole per i colleghi eletti nel listino, di cui ha avuto occasione, ha detto, di rimarcare “l’abnegazione e la generosità” in questi anni. Ciononostante si è detto favorevole a questa decisione, che sarà ricordata, ha aggiunto, come un risultato della presidenza Zingaretti. Bocciati gli emendamenti del M5s che puntavano a introdurre nel Lazio il doppio turno e uno sbarramento al 3 per cento per i gruppi di liste.
Cinque le circoscrizioni regionali (Frosinone, Latina, Rieti, Viterbo e Città metropolitana di Roma), che vedranno assegnarsi i seggi in proporzione alla popolazione risultata residente all’ultimo censimento generale. Particolarmente discusse la scelte sulla soluzione per garantire almeno un consigliere regionale per ciascuna provincia. Alla fine l’Aula ha votato un emendamento di mediazione, fatto proprio dall’assessore Mauro Buschini, che assegna all’Ufficio centrale regionale il compito di individuare, per le circoscrizioni prive di eletti, la lista con più voti collegata al presidente vincitore delle Regionali assegnandole un seggio. Seggio che è corrispondentemente sottratto, con un complesso meccanismo, ad altre liste collegate al nuovo presidente della Regione che abbiano raccolto minori consensi. Daniele Fichera (Psi) ha espresso preoccupazione per questo sistema di voto che “depotenzia il valore della partecipazione alla coalizione per le forze più piccole”. “Vincerà un monopartito” ha invece profetizzato Pietro Sbardella (Misto) sin dall’inizio dei lavori, per il quale la legge elettorale segna la fine della coalizione che ha sostenuto Nicola Zingaretti.
Altro punto sul quale i gruppi consiliari hanno cercato un accordo nelle lunghe conferenze dei capigruppo che, da ieri, hanno preceduto la seduta è quello dell’esonero dalla raccolta delle firme per la presentazione delle liste. Si è scelto di sollevare da questo obbligo le liste espressione di partiti o movimenti rappresentati da gruppi consiliari o parlamentari già presenti in Consiglio o in almeno una delle due Camere alla data di indizione delle elezioni. Inoltre, il presidente di un gruppo consiliare potrà dichiarare collegata una lista pur se questa avrà denominazione diversa da quella del gruppo. Esonerate dalla raccolta firme, infine, le liste che abbiano un contrassegno nel quale compaia anche il simbolo di un partito o di un movimento già esente. “Forse qualcuno ha paura di scendere in strada a chiedere il consenso”, ha osservato Gaia Pernarella (M5s). Anche Giancarlo Righini (FdI) si è mostrato particolarmente critico.
Fissati i limiti per il numero dei candidati per ciascuna lista nelle circoscrizioni: da 22 a 32 nella Città metropolitana di Roma Capitale, da 4 a 6 a Latina e Frosinone, da 2 a 4 a Viterbo e 2 a Rieti. Un emendamento del centrosinistra ha poi aggiunto ai “non eleggibili”, oltre ai presidenti delle province della regione, anche il sindaco della Città metropolitana di Roma Capitale e, novità, i sindaci dei comuni aventi una popolazione superiore ai 20 mila abitanti (prima erano ineleggibili solo quelli dei comuni capoluogo). Una scelta contestata da Francesco Storace (Mns): “Così scateniamo il partito dei sindaci contro la Regione”.
Quanto al resto della riforma, tre norme si sono rese necessarie per adeguare il sistema elettorale del Lazio alla novità introdotte a livello nazionale. La prima è la cosiddetta preferenza di genere, in base alla quale ogni elettore potrà esprimere fino a due preferenze purché a candidati di sesso diverso. Introdotto contestualmente il limite del 50 per cento ai candidati dello stesso sesso nelle liste circoscrizionali. Una scelta che Olimpia Tarzia (Lista Storace) ha apprezzato perché “non si limita a un semplice sistema di ‘quote rosa’”. Un altro allineamento alla normativa nazionale (legge 165 del 2004) introduce il divieto del terzo mandato consecutivo per il presidente della Regione Lazio (salvo che uno dei due mandati precedenti sia durato meno di due anni, sei mesi e un giorno per causa diversa dalle dimissioni volontarie). Infine è stato definitivamente chiarito che, in caso di scioglimento anticipato del Consiglio regionale, si andrà a votare entro tre mesi.
Si è arrivati all’approvazione poco dopo mezzanotte e mezza. I lavori hanno preso il via alle ore 19 in coincidenza con il deposito di un piccolo pacchetto di emendamenti da parte della Giunta “che – come ha precisato il presidente del Consiglio, Daniele Leodori – ha recepito il lavoro della capigruppo”. Il testo originario della proposta di legge – elaborato nel marzo scorso dalla commissione speciale per le Riforme istituzionali presieduta da Mario Abbruzzese (Forza Italia) – prevedeva da subito l’eliminazione del listino. Ma, sebbene sottoscritta da quasi tutti i gruppi, una volta approdata a giugno in commissione Affari istituzionali, presieduta da Fabio Bellini (Pd), l’ipotesi di abolizione del listino ha iniziato a vacillare, impedendo che si cominciasse a esaminare il testo articolo per articolo.  La proposta è stata poi “chiamata in Aula” dalla Conferenza dei capigruppo. Una volta in Consiglio sono stati depositati alcuni emendamenti per non abolire il listino, ma ridurne il numero dei consiglieri da 10 a sei. Questa “mediazione”, come l’ha definita lo stesso Zingaretti, ha scatenato critiche e proteste da parte delle opposizioni, inducendo il presidente della Regione a fare un passo indietro per mantenere l’unità e la collegialità.
Per Luca Malcotti (Cuoritaliani), è una “giornata importante” per la riscoperta da parte del Consiglio delle proprie prerogative. Infine il capogruppo del Pd, Massimiliano Valeriani, chiudendo la seduta ha affermato che “condividere le regole” è una cosa fondamentale per un sistema democratico, anche se ognuno ha dovuto “rinunciare a qualcosa” per conseguire un risultato unitario, sebbene alla fine di un percorso “tortuoso”. Con l’abolizione del listino si è data realizzazione a un punto del programma elettorale e Valeriani ha espresso l’orgoglio di questo risultato, che “non si dava per scontato da nessuno” fino a qualche giorno fa.

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