Carmelo Lavorino, criminologo, investigatore, giornalista si è occupato dei più importanti casi di cronaca nera come consulente della difesa (mostro di Firenze, omicidio Marta Russo, delitto di Cogne, di via Poma, di Arce, difesa di Bruno Contrada), esperto opinionista (delitto di Garlasco, omicidio Meredith Kercher, omicidio Yara Gambiraso, delitto di Avetrana), fondatore e direttore tecnico del CESCRIN, Centro Studi Investigazione Criminale. Ha impostato il concetto di triade criminodinamica dimostrando che ogni criminale mette in atto tre tipi di comportamenti: atti procedurali e tecnici, atti ritualistici e simbolici, atti di modus operandi per depistare, prendere le distanze dal crimine e farla franca.
Gli abbiamo chiesto un’opinione riguardo ai fatti di Macerata, al delitto e alla reazione di Taini che ha sparato all’impazzata sulla gente di colore.
“Quando ci si trova di fronte a “un corpo morto” – ci ha detto – si parte sempre dallo scenario omicidiario e si investiga in tal senso. Nel caso della povera Pamela Mastropietro deve essersi verificata una successione di eventi crudeli, bestiali e senza pietà, tali da indurre qualcuno a sezionarne il corpo, a toglierne visceri e cuore, a chiudere i poveri resti in due trolley e cercare di occultarli o distruggerli. Partendo dall’ipotesi omicidiaria posso dire che si tratta di un omicidio occasionale-situazionale, a sfondo sadico sessuale maturato nel mondo della droga con aspetti e risvolti ritualistici speciali.
Il delitto appare dovuto alla perdita del controllo ed alla cosidetta “fogna comportamentale”, un congegno diabolico che si è poi ramificato e proposto con modalità particolari: infatti la “combinazione criminale” (uno o più assassini) ha provveduto alla distruzione delle tracce, alla cancellazione delle prove col fine di prendere le distanze dalla vittima, dall’atto criminale e dal corpo del reato.
Questo crimine, efferato, malvagio, disumano, come d’altra parte lo sono tutti gli omicidi – ma questo nella scala della malvagità e della depravazione è quasi all’apice -, ha scatenato reazioni emotive e violente ai massimi livelli, fra le quali quella di Luca Traini, un soggetto dal passato difficile ma dotato – a mio avviso – della piena facoltà di intendere e di volere. Traini ha messo in atto il suo progetto criminale di vendetta contro Innocent Oseghale, il nigeriano che reputava essere l’assassino di Pamela: aveva pensato di farsi giustizia da solo andando a ucciderlo in Tribunale, però, prima ha deciso di colpire i “surrogati simbolici” di Oseghale, persone adulte di colore, sparando nel mucchio in modo indiscriminato.
Con Traini ci troviamo di fonte ad un soggetto stragista, amante delle armi, cultore della violenza, compulsivo, animato da un grande odio contro “il diverso” che, “finalmente” (seguendo la sua logica deviata e offuscata) ha trovato l’occasione per dare sfogo ad un atto di giustizia sommaria attraverso la vendetta. Un episodio del genere, sarebbe comunque accaduto, era solo questione di tempo: la bomba dentro la sua psiche era prontra ad esplodere. Quindi: l’uccisione di Pamela ci parla di una “combinazione criminale” che agisce fra droga, crimini vari, stupro e depezzamento rituale, il folle gesto di Traini ci parla di un mancato (per fortuna) mass murderer (assassino stragista) e spree killer (assassino compulsivo). Ora dobbiamo aspettare l’esito delle indagini forensi, autoptiche, di laboratorio e investigative, poi, potremo riparlarne con cognizione di causa”.
A cura di Gilda Tucci