Ad oggi sono censiti e mappati un totale di 32 km quadrati di gallerie che si snodano nel sottosuolo di Roma e sono a rischio sprofondamento e voragini a causa di perdite idriche, lavori di varia tipologia e abusivismo edilizio. Complessivamente, voragini e frane minacciano oltre 500 ettari della Capitale e preoccupa seriamente la tenuta di tratti di strade e di porzioni di quartieri. L’allarme, lanciato dall’Autorità di distretto idrografico dell’Italia centrale, va ad aggiungersi a quanto rilevato dal recente primo ”Rapporto Roma Sicura”, realizzato dal Distretto con il Dipartimento della Protezione Civile, Italiasicura e Ispra, che aveva già acceso i riflettori sul rischio idrogeologico di Roma e complessivamente su 1.135 ettari di aree urbane a rischio frane, smottamenti, voragini e alluvioni. Zone dove vivono e lavorano circa 250mila romani, il più alto numero di abitanti sottoposti a tali pericoli tra le città europee. Censite 28 zone interessate da frana e ben 383 siti soggetti a fenomeni franosi nella Capitale. Le aree interessate dalla formazione di grandi voragini si concentrano nella porzione orientale di Roma (Tuscolano, Prenestino, Tiburtino, Centocelle, Appio), in parte del centro storico e di San Giovanni, verso ovest tra Monteverde Vecchio, Gianicolense e Portuense, e in zone dell’Aventino, Palatino ed Esquilino.
Impressionante l’incremento del numero di cedimenti con aperture di oltre un metro di diametro e di profondità: se sono stati oltre 3.000 i casi registrati negli ultimi 100 anni, negli ultimi dieci anni ne sono stati censiti in media ben 90 con il picco di 130 nel 2012, 104 nel 2013 e fino al 2017 la media di 100. In questo primo scorcio di 2018 di voragini ne abbiamo avute già 83. ”I recenti continui fenomeni di sprofondamento e voragini con collassi stradali e l’instabilità di edifici in diversi quartieri della Capitale mostrano un livello di fragilità del suolo e del sottosuolo elevato e da non sottovalutare, richiedono interventi urgenti sia di controllo con le tecniche più avanzate,sua di consolidamento e messa in sicurezza”, avverte Erasmo D’Angelis, segretario generale dell’Autorità di distretto idrografico dell’Italia centrale, durante l’ispezione in una delle più importanti cavità, nei sotterranei del Tempio di Claudio al Celio, insieme ai tecnici del Distretto guidati dall’ingegnere idraulico Carlo Ferranti e dal geologo di Ispra Stefania Nisio, che da tempo studia il fenomeno delle voragini.
La causa? Per Stefania Nisio, alle problematiche geologiche si devono aggiungere le attività antropiche e l’incuria. “Chilometri di cavità, infatti, sono state scavate per estrarre il tufo usato già dagli antichi romani per l’edilizia, e sono allungate nei secoli successivi per continuare a fornire materiali all’edilizia e anche per fungaie e gallerie di sottoservizi per reti idriche e fognature”, spiega il geologo. Risultato: un dedalo che oggi si estende per centinaia di chilometri sotto la città, in alcuni punti così ampio da contenere un’automobile, in parte ancora sconosciuto. ”Ispra – aggiunge Nisio – ha realizzato la carta delle cavità sotterranee relativa al 2017, carta in questo momento in ulteriore aggiornamento con altre 71 cavità mappate nel territorio di Roma. Per noi è importante continuare la ricerca nella Capitale che ha grandi problemi di tenuta dei sotterranei e di sprofondamenti in superificie”. Per ridurre il rischio, il Distretto propone alle istituzioni, soprattutto a Regione e Campidoglio, di coordinare da subito una serie di azioni: attivare un monitoraggio permanente delle cavità con sistemi satellitari radar e sensori a terra per anticipare i fenomeni di deformazione del suolo (frane, subsidenza, sprofondamenti, dissesti) e degli acquiferi sotterranei; informare i cittadini del rischio; aggiornare e concludere la mappa delle cavità e perimetrare le zone di maggior rischio; monitorare costantemente la rete idrica.
Infine, avviare, con la Struttura di missione Italiasicura della Presidenza del Consiglio, le opere necessarie già individuate e in parte in fase di progettazione. Si tratta di 155 interventi: 127 per complessivi 783 milioni per opere di contrasto al rischio alluvione, e 28 interventi per 86 milioni contro frane e smottamenti. A questi vanno aggiunti 20 milioni all’anno per manutenzioni, controlli e monitoraggi. Ad oggi sono disponibili i primi 104 milioni, inseriti nel Piano di Italiasicura ma occorre un impegno finanziario annuale per almeno 100 milioni di euro. ”Oggi – riprende Erasmo D’Angelis – non lanciamo solo un allarme sulla base di dati e rilievi scientifici ma un piano di interventi realizzabile perché la città ha bisogno di mettere mano prima possibile ai suoi problemi idrogeologici e non resti sballottata sull’onda delle emergenze che sommerge chiunque sia investito del potere di amministrarla. Siamo di fronte a condizioni di rischio da tempo ampiamente sottovalutate o rimosse. C’è solo da rimboccarsi le maniche e la politica, tutta, chi amministra e chi è all’opposizione, può lavorare per questa causa comune, per prevenire tragedie”, conclude D’Angelis.